Rivalutare le pensioni minime fino a 780 euro. Sembra questo l’obiettivo principale del governo in tema di pensioni quest’anno, in piena emergenza Coronavirus per dare un minimo sostegno vitale a chi ne ha bisogno.

La misura era già stata ventilata alla fine dello scorso anno e inserita nel più ampio programma di riforma del sistema pensionistico, le cui discussioni con le parti sociali erano iniziate a febbraio 2019. Poi lo scoppio dell’epidemia ha sospeso i lavori, ma il tema di dare un sostegno minimo ai pensionati più deboli ora è diventato impellente per evitare crisi sociali e allargamento della povertà.

Pensione con integrazione al minimo a 780 euro

Lo scoglio, ovviamente, è quello rappresentato dalla spesa pubblica che aumenterebbe notevolmente. Un intervento di questo tipo – riportano i tecnici del Ministero del Lavoro – costerebbe alle casse dell’Inps 10 miliardi di euro perché si tratterebbe di innalzare l’importo del trattamento minimo da 515 euro circa a 780 euro al mese coinvolgendo una platea di circa 4 milioni di pensionati in Italia. L’intervento andrebbe però a integrare la pensione solo a coloro che non possiedono altri redditi o entrate, cioè a chi vive solo dell’assegno erogato dall’Inps e che, a tutti gli effetti, non basta per vivere.

Più garanzie anche per i giovani

Il progetto di riforma dei trattamenti minimi seguirebbe di pari passo anche i lavori per l’istituzione delle pensioni di garanzia per i giovani lavoratori, privi delle tutele previdenziali di cui ha potuto godere la generazione precedente. Ciò riguarda il dibattito su uno dei temi che non possono essere trascurati né dai politici né dalle forze sociali che è sicuramente quello dei giovani lavoratori, alle prese con lavori precari, spesso discontinui e mal retribuiti. Per costoro non vi saranno garanzie al termine della carriera lavorativa perché il sistema di calcolo contributivo pensionistico sarà estremamente penalizzante.

In assenza di una rete protettiva, di un minimo vitale, l’Italia rischia di partorire fra qualche decina d’anni un esercito di pensionati che farà la fame. Il sistema contributivo non permette, infatti, manco l’integrazione della pensione al trattamento minimo Inps che oggi ammonta a 515,07 euro. E per chi lavora come collaboratore e versa contributi nella gestione separata, difficilmente raggiungerà questa soglia minima.

Pensione di garanzia per i giovani lavoratori

A tal proposito si sta studiando l’istituzione di una forma di pensione di garanzia. Il Ministro Nunzia Catalfo e i sindacati ritengono doveroso tutelare questa categoria di lavoratori con un trattamento minimo vitale. Allo scopo si sta rivalutando l’idea avanzata nel 2016 dall’ex ministro al Lavoro Giuliano Poletti che aveva proposto una pensione di garanzia da determinarsi innalzando la quota di cumulabilità dell’assegno sociale con la pensione per i soggetti nel contributivo puro.

Pensione di garanzia fino a 780 euro al mese

Più nel dettaglio si cerca di istituire un assegno di garanzia di importo fra 650 e 780 euro mensili per coloro che andranno in pensione con almeno 20 anni di contributi dal 2030 in poi. Cioè da quando il sistema di calcolo delle pensioni con contributivo puro sarà entrato a regime per tutti i lavoratori. Si tratta quindi di ripristinare l’integrazione al minimo – dicono gli esperti – ma non più tramite un intervento assistenziale da parte dello Stato, ma attingendo da un fondo previdenziale integrativo pubblico gestito dall’Inps a cui parteciperanno tutti i lavoratori. L’idea, avanzata da tempo dal presidente dell’Istituto Pasquale Tridico, non piace ai sindacati ma è molto caldeggiata dalle forze politiche al governo che vedono con favore il ritorno dell’Inps al centro del sistema pensionistico integrativo.