Le pensioni degli statali sono notoriamente più alte di quelle della generalità dei lavoratori. Negli ultimi anni, però, la forbice si è allargata al punto che la rendita di un dipendente pubblico sfiora il doppio di quella di uno privato. Eppure non c’è un diverso trattamento pensionistico, perchè le regole di calcolo sono uguali per tutti.

Stando agli ultimi dati elaborati dall’Inps, nel 2022 i dipendenti pubblici sono andati in pensione con un assegno medio lordo di 2.062 euro al mese. Cifra che si confronta con una media nazionale di 1.153 euro al mese.

Quasi il doppio. Il paragone è improprio, però, perché nel calderone generale ci sono dentro anche le pensioni minime e quelle di invalidità che abbassano notevolmente la media. Rispetto a un lavoratore dipendente del settore privato, infatti, la differenza è minima.

Perché le pensioni degli statali sono più alte

Posto che le regole per il calcolo della pensione sono uguali per tutti, vediamo perché le rendite dei dipendenti pubblici sono generalmente più alte. Innanzitutto bisogna premettere che l’ammontare della pensione dipende essenzialmente dall’età anagrafica e dal montante contributivo. Questi due requisiti sono quindi basilari per il calcolo della rendita.

A parità di età anagrafica, però, si può notare che già ci sono marcate differenze fra lavoratore pubblico e privato. Perché? Cosa succede? La differenza – spiegano gli esperti di previdenza – è riconducibile sostanzialmente alla carriera lavorativa che, per lo statale è garantita, mentre per il lavoratore privato no. In buona sostanza, il rischio d’impresa non esiste per il dipendente pubblico.

Ne consegue che spesso i lavoratori del settore privato si ritrovano sull’estratto contributivo buchi o delle pezze costituite da periodi di cassa integrazione, disoccupazione, riduzione orario di lavoro, ecc. Episodi brevi o lunghi che determinano il montante contributivo e quindi la pensione futura, sempre più calcolata con quanto versato. Il che vale anche per i lavoratori autonomi o liberi professionisti.

Ma non per i dipendenti pubblici che sono ultra garantiti in questo senso. Ecco quindi spiegato il perché, a parità di età anagrafica, la pensione fra lavoratori statali e privati è diversa.

Le uscite anticipate con Quota 100

Quota 100 ha messo letteralmente a nudo questa differenza. La pensione erogata fino al 2021 al compimento di 62 anni con almeno 38 di contributi ha registrato più richieste da parte degli statali che dei lavoratori privati. E il motivo, non è legato a valutazioni di sorta o scelte individuali, ma al possesso o meno dei requisiti. I dipendenti pubblici avevano più chances di quelli privati potendo godere su una carriera piena e continua. Quindi sui 38 anni di contributi.

Lo confermano i numeri: in tre anni, i lavoratori che sono andati in pensione con Quota 100 sono stati 341.128. Fra questi, i dipendenti che hanno beneficiato di quota 100 sono stati 273.519, di cui 166.282 provenienti dal settore privato e 107.237 da quello pubblico. Mentre i lavoratori autonomi sono stati solo 67.609.

In pratica quasi un lavoratore su tre che ha sfruttato Quota 100 proveniva dalla pubblica amministrazione. Quindi, di fatto, erano più avvantaggiati rispetto ad altri. Inutile dire che la manovra voluta dal governo Conte I ha favorito principalmente il pubblico impiego e, in misura minore, alcuni datori di lavoro privati che hanno potuto ridurre la forza lavoro “lecitamente” durante il periodo della pandemia.

Gli statali prendono il doppio e si lamentano

E’ quindi confermato che la pensione degli statali sia più alta. E lo sarà anche in futuro, nonostante il sistema di calcolo contributivo tenda a ridurne l’importo. Ma non più di tanto. I contratti di lavoro del pubblico impiego – come evidenziato anche da Il Sole 24 Ore – prevedono aumenti migliori rispetto alla contrattazione del settore privato. Il che incide, ovviamente, sul prelievo contributivo e quindi sulla pensione futura che sarà calcolata esclusivamente su quanto versato.

Tuttavia gli statali si lamentano perché non possono beneficiare degli scivoli che la legge riserva ai dipendenti del settore privato (contratti di espansione, di solidarietà e isopensione). Cosa vera solo in parte poiché non tutte le aziende sono in grado di proporre scivoli pensione ai propri dipendenti. Ma solo quelle più grandi che possono permettersi un ricambio generazionale e nuove assunzioni.

Ricapitolando, quindi, il vantaggio di lavorare come dipendente pubblico è insindacabile, non solo per quanto concerne l’ammontare della pensione, ma anche per la garanzia del posto di lavoro. Anche se ciò comprta attendere qualche anno in più prima di lasciare il servizio.