Con o senza Draghi la riforma delle pensioni va fatta. O meglio, va attuato il taglio alla spesa previdenziale, il che riguarda anche le pensioni. Non quelle presenti, ma quelle che verranno, a partire dalla fine di quest’anno quando scadrà quota 100.

Che cosa ha in mente il governo Draghi? E’ vene sapere – come fanno notare Alberto Brambilla, fondatore di Itinerari Previdenziali – che non nessuno ha la bacchetta magica per risolvere un problema che si trascina ormai da anni. In sostanza, la spesa previdenziale è fuori controllo e il deficit dell’Inps è di fatto irreversibile.

Pensioni, verso la riforma

In sostanza, più passa il tempo e più la spesa per le pensioni aumenta a fronte di sempre minori entrate contributive generando deficit pubblico. Questo perché la popolazione che invecchia aumenta sempre più e alla base non c’è occupazione in grado di sostenere la spesa. Sia quella per le pensioni che per l’assistenza sociale.

Problema che era già stato affrontato dal governo Amato e Dini a metà degli anni ’90 e poi da Monti nel 2011 (riforma Fornero). Due interventi sul sistema pensionistico pesanti attuati, da governi con ampio sostegno parlamentare. Governi che hanno svolto il così detto “lavoro sporco” per il quale i partiti singolarmente non si assumono mai responsabilità per non perdere consenso elettorale.

Con Draghi sarà diverso? Niente affatto. Non decide lui. Il problema è sul tavolo del ministero del Lavoro (e di Bruxelles) da tempo e la ricetta per contenere la spesa previdenziale italiana è una sola: tagli alle pensioni. Nel mirino c’è quota 100, ma non solo. Per far quadrare i conti bisognerà colpire anche gli assegni, cioè fare quel lavoro che il governo Dini ha attuato solo a metà mantenendo in vita sistema di calcolo retributivo per gran parte dei lavoratori. Rinviando così nel tempo il problema e spalancando le porte alla Fornero.

Tre proposte sul tavolo

Ancora non si sa come agirà il nuovo governo Draghi sulle pensioni. Brambilla, illustrando a Montecitorio l’ottava edizione del Rapporto di Itinerari Previdenziali, ha però suggerito  alcune idee per superare lo scoglio dei pensionamenti anticipati previsti con quota 100. Come noto, la possibilità di andare in pensione con 62 anni di età e 38 di contributi termina il 31 dicembre. Dopo di che ci saranno solo le regole della Fornero per il pensionamento di vecchiaia (scalone).

Brambilla suggerisce quindi tre soluzioni. La prima proposta prevede una totale equiparazione delle regole generali e delle tutele per i giovani che hanno iniziato a lavorare dall’1/1/1996 eliminando le norme Fornero. Per costoro è inoltre indispensabile ripristinare l’integrazione al trattamento minimo.

La seconda proposta interessa tutti i lavoratori e riguarda il blocco dell’adeguamento alla speranza di vita per il requisito di anzianità previsto dalla riforma Fornero. La speranza di vita, come noto, è previsto per ora fino al 2026, poi l’età pensionabile per la vecchiaia si allungherà oltre i 67 anni di età.

La terza proposta riguarda la reintroduzione delle forme di flessibilità già previste dalla Dini-Treu, consentendo quindi il pensionamento a 64 anni di età (adeguati) e 38 di contributi (una sorta di “quota 102”).  Questa sarebbe la soluzione ideale per superare quota 100 a scadenza.