Il passaggio a regime al sistema di calcolo contributivo delle pensioni rischia di arrivare troppo tardi. Solo nel 2035 il sistema retributivo andrà per tutti in soffitta.

L’allarme è già suonato e il premier Draghi lo ha sentito. Ragion per cui la riforma pensioni che verrà nel 2022 ne dovrà tener conto. Pena il dissesto finanziario dei conti dello Stato sulla gestione della previdenza pubblica.

Accelerare il passaggio al sistema di calcolo contributivo

Oggi, più di ieri, liquidare una pensione con il sistema di calcolo retributivo, anche solo in parte (sistema misto), ha un peso ben più alto rispetto al passato.

Incidono diversi fattori legati alla spesa previdenziale non più sostenibile.

Primo fra tutti il rapido invecchiamento della popolazione e l’allungamento della vita media. Pagare una pensione in deroga ai requisiti Fornero rispetto alle previsioni fatte dieci anni fa equivale a compromettere la tenuta finanziaria dei conti pubblici impoverendo le generazioni future.

Se lo Stato deve pagare una pensione mista per più tempo, non è difficile prevedere un rapido e inesorabile disallineamento del bilancio statale. E, alla fine, a pagare saranno inesorabilmente le generazioni presenti e future che andranno in pensione a 71 anni con pensioni ridotte.

Boeri: pensioni anticipate con penalizzazione

A rimarcare la necessità di accelerare verso il sistema contributivo è l’Inps che, meglio di tutti sa come vanno le cose. Il presidente Pasquale Tridico l’ha detto più volte suggerendo l’introduzione di un sistema flessibile o di pensioni a rate.

Gli fa però eco anche il suo predecessore, Tito Boeri, che in una recente intervista ha detto che

“quello che bisogna sicuramente fare è accelerare il passaggio al metodo contributivo che garantisce anche una possibilità di andare in pensione prima”.

Cosa significa questo? Posto che il sistema di calcolo contributivo puro andrà a regime solo nel 2035 per tutti, è necessario che le pensioni anticipate siano concesse solo se si è disposti a rinunciare a qualcosa.

In altre parole, sì all’uscita anticipata rispetto agli attuali 67 anni di età, ma con meno soldi di pensione. Come avviene in molti altri Paesi, a cominciare dagli Stati Uniti dove si può lasciare il lavoro anche a 62 anni subendo un taglio di circa il 30% dell’assegno. Un po’ come avviene da noi con Opzione Donna.