Mancava solo l’Inps ad ammettere, seppure a denti stretti, che il pagamento delle pensioni è in pericolo. La pandemia metterà a dura prova la tenuta dei conti, inutile nasconderlo.

Ad ammettere implicitamente che le pensioni degli italiani sono a rischio è lo stesso presidente dell’Inps Pasquale Tridico. Incalzato dai giornalisti, Tridico ha spiegato che:

non c’è un problema di deficit per l’Inps finché non c’è un problema di deficit per lo Stato. Nel 2018 proprio un intervento pubblico ha ripianato il debito dell’Istituto per circa 65 miliardi, a seguito della crisi che si è protratta tra il 2009 e il 2014“.

Pensioni non a rischio al momento

Al momento quindi i conti dell’Inps sono buoni e il sistema dei pagamenti è in equilibrio. I due miliardi di passivo causati dalla pandemia, da sommare al rosso da 26 miliardi già certificato nell’assestamento di bilancio, non mettono a rischio le pensioni degli italiani. Nel 2019, “per la prima volta dopo 10 anni – ha sottolineato Tridico – si è registrato un avanzo” nei conti.

L’Inps era intervenuto con un comunicato per ricordare come l’emergenza Covid abbia richiesto da marzo “risposte straordinarie“, che hanno impegnato l’Istituto in “attività di sostegno al Paese che non hanno precedenti“. L’equilibrio dei conti

non è in discussione ed ogni aggravio generato dall’eccezionalità del periodo viene costantemente monitorato e ha garanzia di copertura nel complessivo controllo dei conti pubblici e nelle manovre di governo e Parlamento“, ha sottolineato l’ente della previdenza sociale. “Il deficit particolare di questo anno, che segue un 2019 in attivo, non mette a rischio né le future prestazioni né la validità delle misure a sostegno di cittadini e imprese“, ha precisato l’Inps.

La riforma delle pensioni

Peccato che un debito pubblico che sta salendo vertiginosamente non lascia ben sperare e le parole di Tridico lasciano il tempo che trovano.

Se il pagamento delle pensioni è assicurato nel breve periodo, non potrà esserlo nel lungo periodo. Lo stato dovrà intervenire, come fece nel 1995 e nel 2011. In che modo?

Al centro del dibattito della riforma pensioni resta sempre quota 100, cioè il sistema di pensionamento anticipato tanto caro a coloro che hanno maturato o matureranno entro il prossimo anno 62 anni di età e 38 ani di contributi. Un sistema che ha finora permesso a migliaia di lavoratori di liberare posti di lavoro ai giovani, ma che, allo stesso tempo, costa troppo.

Riforma pensioni e debito pubblico

La sostenibilità di quota 100 senza una revisione del sistema di calcolo della pensione sarà impossibile. Anche la Corte dei Conti ha recentemente suonato l’allarme sulla tenuta del sistema pensionistico tricolore suggerendo al governo di porre un freno agli esorbitanti costi delle pensioni. E’ di oggi la notizia che le entrate contributive nei primi nove mesi del 2020 sono scese di 11,8 miliardi di euro (-6,8%) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Il disallineamento fra entrate contributive e uscite pensionistiche – dicono i giudici contabili – è dovuto, non tanto a quota 100, quanto al sistema di calcolo retributivo delle pensioni. Un sistema che pesa ancora parecchio nel regime misto e che è aggravato dai pensionamenti anticipati, rispetto ai requisiti previsti dalla riforma Fornero per il pensionamento di vecchiaia.

Quota 100 verso l’addio

Il suggerimento più o meno velato della Corte al governo è quello di riformare quota 100 introducendo un sistema di penalizzazione della pensione per chi sceglie il ritiro anticipato dal lavoro. Il modello di calcolo è quello già previsto per opzione donna, ma che dovrebbe essere esteso a tutti.

Che poi sarà con quota 100 piuttosto che con quota 101 o 102, cambia poco. Il messaggio è chiaro per la prossima riforma pensioni: chi vuole lasciare il lavoro prima può farlo ma dovrà accettare una penalizzazione.

Del 2-3% sull’assegno previsto coi requisiti di vecchiaia – dicono le stime degli esperti – ma potrebbe essere anche maggiore o inferiore.

Tutto dipenderà dai numeri che il governo dovrà far quadrare al cospetto di Bruxelles per rendere sostenibile il debito astronomico del nostro Paese nei prossimi anni. La spesa previdenziale, come noto, pesa in maniera preponderante sui conti dello Stato.