Pensioni all’estero: per chi finisce di lavorare oggi è spesso una scelta ma per i patronati sta diventando un business a tratti illegale. E’ quanto emerge con preoccupazione da una lettera di Antonio Bruzzese, ex responsabile dell’Inca-Cgil in Argentina, indirizzata a Pietro Grasso. Al presidente del Senato Bruzzese chiede interventi per “una forte e urgente moralizzazione del sistema” per porre freno ad un sistema che definisce orma “fuori controllo”. Gli scenari futuri prevedono due possibile sviluppi della vicenda delle pensioni all’estero: commissione d’inchiesta sui patronati oltre confine o esposto ufficiale alla procura di Roma.

Dal Comitato non trapelano maggiori informazioni sullo scandalo che potrebbe travolgere le pensioni all’estero: alla richiesta di dettagli da parte dei giornalisti risponde con un secco no comment: “non posso anticipare nulla per rispetto istituzionale. Stiamo preparando un rapporto che tra una decina di giorni verrà consegnato al presidente Grasso. Dopodiché decideremo cosa fare”.

Pensioni all’estero: controlli sui patronati

Pare che il sistema denunciato nella missiva si riscontri in Danimarca, in Germania ma anche oltreoceano. Occhi puntati su Argentina, Australia e Canada e in generale in tutti i Paesi in cui si registra una forte emigrazione italiana. Quelli dei patronati sulle pensioni degli italiani all’estero potrebbero essere affari d’oro non sempre leciti. Dal 2001, da quando cioè la legge 152 che ha conferito ai sindacati “il monopolio della pratiche con gli enti previdenziali”, i patronati all’estero hanno incassato almeno mezzo miliardo di euro. Ogni sigla sindacale ha il proprio patronato per la gestione delle pratiche delle pensioni all’estero: la Cgil ha l’Inca, la Uil la Ital, la Cisl ha l’Inas. A questi magnifici tre si aggiungono le Acli e tutti gli altri minori. Come funziona l’assistenza? Per i contribuenti è gratuita, fatta eccezione della tessera del sindacato: le pratiche andate a buon fine sono a carico dell’Inps, mediante un fondo alimentato con lo 0,27 per cento dei contributi versati dai lavoratori (percentuale che Renzi, con la legge di stabilità 2016, valuta di abbassare).

Per i patronati le pensioni all’estero sono una gallina dalle uova d’oro: ogni attività svolta “in convenzione internazionale” vale quasi il doppio di quelle italiane. Per questo, nell’ordine, Ital-Uil, Acli, Inas-Cisl e Inca-Cgil hanno concentrato oltre i confini italiani i loro interessi. Ma in cosa consiste la truffa?

Pensioni all’estero: così i patronati sottraggono i soldi all’Inps?

Secondo Bruzzese il “robo” si concentrerebbe su diversi fronti: prima di tutto sul numero di sedi. Per ovvie ragioni anagrafiche infatti i vecchi emigranti delle precedenti generazioni, stanno scomparendo. Visto che, per la nuova emigrazione giovanile, non sono previste prestazioni ad hoc, Bruzzese non si spiega la anomala e sospetta “crescita continua di sedi di patronato che presentano un punteggio scandaloso”. Solo per fare qualche esempio: a Cordoba ci sono 10 patronati per 800 pensionati italiani, nella provincia di Francoforte si contano 17 uffici, 13 sono ubicati a Friburgo. In Germania anche nei paesini più piccoli vengono dichiarate migliaia di pratiche. Liquidare le pratiche fa incassare punti e, quindi, soldi. Basti pensare che almeno 42-43 milioni (circa un decimo del fondo totale) sono destinati ogni anno agli uffici oltre confine. E così, di anno in anno, i punti aumentano anche se gli utenti diminuiscono. C’è puzza di bruciato: secondo Bruzzese da Roma i patronati inviterebbero addirittura le sedi estere “a riempire cartelle vuote o a statisticare due volte la stessa pratica, una in Italia e una all’estero”. Possibile che nessuno controlli? Ad oggi, denuncia Bruzzese, le ispezioni sono anticipate da avvisi preventivi e si riducono a visite di cortesia da parte degli incaricati. Il grande assente è il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che finora ha sempre declinato gli inviti a presentarsi alComitato per spiegare come lavorano i suoi uffici.