A settembre riprende il dibattito parlamentare sulla riforma pensioni. In particolare sul dopo quota 100 che termina il 31 dicembre 2021. Anche se il Parlamento è in ferie, partiti e parti sociali intensificano il dialogo.

E col passare del tempo si diradano i dubbi su quel che sarà dopo la fine di quota 100, il sistema di pensionamento anticipato con 62 anni di età e 38 di contributi. Sistema tanto caro alla Lega, ma impossibile da prorogare per via dei costi.

Ape Sociale extra large

Cosa succederà allora? Bocciata quota 41 perché costerebbe troppo, si sta lavorando su altri fronti per evitare il ritorno alle regole della Fornero.

Il primo di questi è il potenziamento di Ape Sociale.

L’intenzione – come suggerito dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico – è quella di utilizzare uno strumento pensionistico che già esiste, senza stravolgere l’impianto dell’ordinamento pensionistico esistente.

Quindi, per quanto riguarda Ape sociale, si punta a prorogarla allargandola alla categoria dei lavoratori gravosi e usuranti.

Al momento, Ape Sociale, introdotta in via sperimentale dal primo governo Conte, consente ai lavoratori in difficoltà sociale di lasciare il lavoro a 63 anni possedendo determinati requisiti. Paletti molto stretti che sono dati dal possesso di almeno 30 anni di contributi e:

  • essere in stato di disoccupazione;
  • assistere da almeno sei mesi il coniuge, la persona con cui è contratta l’unione civile o un parente di primo grado convivente (genitori o figli) con handicap in situazione di gravità:
  • essere riconosciuto invalido dalle commissioni di invalidità civile almeno al 74%;
  • svolgere alla data della domanda di Ape sociale da almeno 6 anni in via continuativa una o più delle attività gravose previste dalla legge (in questo caso servono 36 anni di contributi).

Le altre due riforme pensioni

Le altre due riforme allo studio sono la proroga di opzione donna, che potrebbe anche diventare strutturale dal 2022, e la pensione di flessibilità a 63 anni.

Di cosa si tratta?

Secono Tridico, si tratterebbe di una forma di pensionamento in due parti. La prima tranches sarebbe liquidata al raggiungimento dei 63 anni di età ma solo per i versamenti nel sistema contributivo, quindi dal 1996 in poi. La seconda tranches al raggiungimento dei 67 anni con i versamenti effettuati nel sistema retributivo, ante 1996.

In questo modo si permetterebbe l’uscita dei lavoratori un anno dopo quota 100,  anche se inizialmente con un assegno più basso.