Magari non ci sarà ancora un sistema vero e proprio. Forse le soluzioni ponte saranno utili nell’immediato. Il problema vero, per quel che riguarda le pensioni, è che sempre più spesso non si dimostrano risolutive per chi andrà a percepirle. E non solo per qualche porzione di assegno stritolata dall’ingranaggio burocratico ma per qualche differenza di troppo fra i due settori cardine del tessuto occupazionale italiano (e non solo naturalmente): l’impiego pubblico e il lavoro nel privato. Decisione che, nella maggior parte dei casi, si prende da sola.

Inserirsi nell’ambito del pubblico presuppone un percorso che, per come è strutturato, fisiologicamente non può accogliere tutti coloro che lo intraprendono.

D’altro canto, anche riuscire a districarsi nel mondo del privato non è che sia semplice. Non tanto per le possibilità di inserimento, quanto di barcamenarsi al meglio fra le scadenze obbligatorie comuni per tutti i contribuenti e la regolarità del proprio impiego. Problematiche che, al momento di tirare le fila, emergono nelle loro contraddizioni. Difficile tracciare un quadro generale ma, scandagliando i contesti territoriali, spiccano situazioni particolarmente difficili sul piano delle pensioni. Insufficienti, in troppi casi, a far fronte al periodo di rincaro e alle incombenze ordinarie. Un mix esplosivo in determinate circostanze.

Il divario fra uomini e donne

Interessante il quadro fornito da “Il Resto del Carlino” sulle pensioni in Emilia-Romagna. Nel quale sono emerse criticità di particolare rilievo nel settore privato, col 49% dei pensionati ai quali spettano meno di 750 euro al mese. Appena il 5,9% lamenta di prendere la medesima cifra nel settore pubblico. Un divario abbastanza marcato, oltre che marchiano. Numeri rafforzati dalla media regionale generale, che parla di 1120 euro netti al mesi. Cifra che scende 760 euro circa per le pensioni di invalidità, 550 per quelle superstiti.

Non solo: un ulteriore divario emerge fra uomini e donne, con i primi che percepiscono un importo medio (per le pensioni di vecchiaia) superiori a 633 euro lordi.

Importo che scende drasticamente per le donna, per le quali non si va oltre i 367 euro medi per i trattamenti di invalidità e inabilità. Anche in questo contesto, lo squilibrio fra pubblico e privato non passa inosservato: 600 euro di gap, a favore del primo. Per quanto riguarda le pensioni di vecchiaia ma anche in senso generale. Al netto delle misure di perequazione.

Gap fra pensione e stipendi

Raggiunta una certa maturità, tali divergenze fra i due settori emergono in modo più marcato. E, a posteriori, molti di coloro che hanno intrapreso una carriera nel privato arrivano a sviluppare qualche forma di rimpianto. Chiaramente, la contestualizzazione è fondamentale visto che, complessivamente, esempi virtuosi anche nell’ambito del privato possono essere annoverati.

La differenza reale sta nella regolarità dei versamenti, nella possibilità di veder garantite possibilità che, soprattutto nel quadro del professionismo, si tende a lasciare da parte per restare al passo con le incombenze quotidiane. Il tutto, in un contesto nazionale che, paradossalmente, vede elargite più pensioni che stipendi.

Se si tiene conto del Meridione, il numero di pensionati supera di quasi un milione quello dei lavoratori attivi (dati Cgia Mestre, riferiti all’1 gennaio 2022). Dato piuttosto significativo, se non altro per definire la reale situazione a livello occupazionale, con regolarizzazioni troppo approssimative per poter debellare totalmente la piaga del lavoro in nero. E, al contempo, scadenze (fiscali e non) che non aspettano chi resta indietro.