Uscire dal lavoro e andare in pensione prima dei 67 anni di età è senza dubbio l’aspirazione di molti lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi. E oggi le possibilità esistono e sono varie per poter anticipare la quiescenza. Possibilità che nel futuro prossimo potrebbero diventare maggiori ed estendersi a molti più lavoratori di oggi. Questo grazie ad alcune novità del governo che vorrebbe introdurre le pensioni flessibili già a partire dai 61 anni di età. Ma in base all’età cambiano le regole, compreso l’importo della pensione.

Ed è proprio sul calcolo che molti lavoratori rischiano di rimanere indecisi sul lasciare il lavoro o meno.

“Buonasera, mi chiamo Davide e sono in procinto di compiere 61 anni di età. Potrei davvero andare in pensione nel 2023 alla luce di nuove misure che il governo starebbe pensando di costruire? Ho sentito parlare di Quota 41 e di una pensione flessibile con contributi variabili, con una cosa fissa che sono proprio i 61 anni di età. Ma ho anche sentito dire che chi prima lascia il lavoro meno prende di pensione. Converrebbe uscire a 62 anni o addirittura a 63 anziché prendere subito il treno dei 61 anni?”

Il piano del governo Meloni sulle pensioni, le ultime indiscrezioni

pensioni
A quanto si apprende dal governo in carica, potrebbe essere più di una concreta possibilità quella di poter andare in pensione a 61 anni nel 2023. Al momento sono solo ipotesi, ma che già hanno fatto scattare l’attenzione ai massimi livelli come dimostra la lettera del nostro lavoratore. E, ipotesi dopo ipotesi, torna come un mantra la pensione a 61 anni di età. Infatti sia con la quota 41 che con la pensione flessibile l’età anagrafica dovrebbe essere quella dei 61 anni. Lasciando da parte la quota 41 che verrebbe introdotta inserendo 61 anni come età di uscita, c’è una pensione flessibile da varare. Si tratta infatti di una pensione che dovrebbe avere una soglia minima di contributi da versare pari a 35 anni e una altrettanto minima età anagrafica a 61 anni.
Si potrebbe, quindi, già andare in pensione a 61 anni di età ma solo a determinate condizioni.

Più tardi si esce meglio va

È naturale poi che essendo variabile l’età di uscita, così come la carriera maturata, c’è chi prenderà di più di pensione e chi meno. Un dato da sottolineare è che si tratta di una misura che non dovrebbe avere particolari limitazioni di calcolo o penalizzazioni. La pensione sarà liquidata con le regole classiche del calcolo misto e quindi niente ricalcolo contributivo. E questo è già un netto vantaggio se si pensa a cosa devono lasciare in campo i lavoratori assoggettati al calcolo contributivo della prestazione in stile Opzione donna. Uscire con 61 anni di età e con 39 anni di contributi versati potrebbe diventare una opportunità per molti lavoratori. Ma in base alle regole di calcolo uscire a 61 anni di età è meno vantaggioso rispetto ai 62 anni per esempio. In questo il lettore ha pienamente ragione. E tutto dipende dal coefficiente che trasforma il montante contributivo in pensione. Più in avanti con gli anni si lascia il lavoro e più è favorevole questo coefficiente di trasformazione e di conseguenza più alta è la pensione.

La pensione flessibile ha delle regole che smontano la teoria dell’uscire dopo che conviene

Il rapporto però non si può fare per quando ci chiede il nostro lettore. Infatti dal punto di vista della convenienza è vero che uscire a 62 anni di età è più vantaggioso rispetto ad un’uscita a 61. Ma per la nuova misura flessibile a 62 anni di età potrebbero uscire lavoratori con 38 anni di contributi. Mentre a 61 anni si uscirebbe con 39 anni di versamenti. Un anno di contributi in più che azzererebbe lo svantaggio di uscire un anno prima.