Le pensioni in Italia sono un argomento che mette dubbi e perplessità in tutti i contribuenti. Nemmeno il centrare i requisiti ordinari a volte fa stare tranquilli. L’argomento di oggi, su cui abbiamo preso spunto da una lettera di una nostra lettrice è la pensione contributiva.  

“Gentile redazione, mi chiamo Marta e sono una lavoratrice dipendente del settore privato. Ho iniziato a lavorare nel 2000 e non ho più smesso. A maggio ho compiuto 64 anni di età ed ho provato a presentare richiesta della pensione anticipata contributiva.

La risposta dell’INPS è stata una sonora bocciatura dell’istanza. Non ho diritto alla pensione anticipata contributiva e non ho capito bene perché. Inoltre parlando con una mia conoscente, che ha un centro di assistenza fiscale, ho compreso, non so se a ragione o meno, che nemmeno a 67 anni sarò certa di andare in pensione perché tutto dipende dall’INPS. Può anche darsi che la mia pensione scatti a 71 anni di età. Come mai tutto questo? Non è forse vero che a 67 anni bastano 20 anni di contributi versati? Va bene la pensione anticipata contributiva, ma a 67 anni credo di non avere problemi ad andare in pensione visto che ho 22 anni di contributi e continuando a lavorare arriverò a 25. Grazie.” 

Il sistema contributivo, cos’è? 

Dal 1996 è entrato in funzione il cosiddetto sistema contributivo. Infatti con la riforma Dini il calcolo della prestazione previdenziale non tiene più conto della retribuzione dei lavoratori, o almeno non come prima che era fattore fondamentale nel liquidare una prestazione previdenziale. Da allora contano i contributi e il relativo montante contributivo. È vero però che a retribuzione più alta corrispo0ndono contributi più alti essendo al 33% l’aliquota contributiva vigente. Ormai sono sempre di più i lavoratori che hanno iniziato a lavorare proprio dal 1996 in avanti. E sono lavoratori che hanno di fatto perduto il diritto al calcolo misto della pensione.

Ma oltre che alle regole per la liquidazione della pensione, il sistema contributivo, soprattutto dopo l’avvento della riforma Fornero, ha prodotto un altro cambio di passo. Le misure previdenziali sono diventate sempre più rigide da centrare. E se da un lato sono nate misure favorevoli ai contributivi come uscita, dall’altro sono entrati in funzione dei limiti alle uscite per questi lavoratori privi di anzianità al 31 dicembre 1995. 

La pensione anticipata contributiva 

Perché la nostra lavoratrice non ha potuto sfruttare l’uscita con l’anticipata contributiva? Una domanda lecita, soprattutto se si pensa ai requisiti della misura e alle notizie che lei ci dà nella lettera. Per prendere la pensione anticipata contributiva occorre rispettare le seguenti condizioni: 

  • Minimo 20 anni di contributi versati; 
  • Almeno 64 anni di età compiuti; 
  • Primo contributo versato dopo il 31 dicembre 1995; 
  • Pensione liquidata alla decorrenza pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale in vigore l’anno del pensionamento.  

La nostra lettrice ha iniziato a lavorare nel 2000 e al 2022 ha maturato quindi 22 anni di contributi. In termini pratici, ha completato il primo requisito, cioè il contributivo. Ed avendo iniziato nel 2000, ha rispettato pure il requisito dell’anzianità di contribuzione, cioè non ha contributi antecedenti il 1996 che di fatto la escluderebbero dalla pensione anticipata contributiva.  Ha compiuto 64 anni di età a maggio 2022 e quindi, anche il requisito anagrafico è pienamente soddisfatto.   

Il requisito della pensione minima incide a 64 anni di età per i contributivi puri, ma anche a 67 

pensioni  

Per quanto detto è evidente dove l’INPS ha trovato l’errore nella situazione della lettrice. Un errore nella carriera che si estende a moltissimi altri lavoratori dipendenti e non. Infatti il requisito della pensione minima è quello che più di altri elimina potenziali beneficiari della misura, dal poterla utilizzare. Non può essere diversamente visto che la nostra lettrice ha completato tutti gli altri requisiti di accesso alla pensione anticipata contributiva.

Evidentemente, come montante contributivo e di conseguenza come stipendi su cui applicare l’aliquota del 33%, non è riuscita a centrare una pensione pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale vigente nel 2022. L’assegno sociale 2022 è pari a 468,28 euro al mese. Una pensione pari a 2,8 volte l’assegno sociale pertanto, è esattamente pari a 1.311,18 euro al mese. La nostra lettrice quindi potrebbe non aver centrato un assegno di queste proporzioni. E la bocciatura della domanda di pensione è nata proprio da questo. A 67 anni però, per lei la situazione cambierà, anche se non è detto che la pensione possa essere comunque erogata a quella età.  

Perché c’è chi anche con 20 anni di contributi rischia di andare in pensione a 71 anni di età 

Per i contributivi puri la pensione di vecchiaia ordinaria si centra come per gli altri lavoratori che hanno iniziato a lavorare prima del 1996. Ma ha bisogno di un requisito aggiuntivo che è sempre quello della pensione minima alla data della decorrenza. I requisiti per la pensione di vecchiaia ordinaria per chi ha iniziato la carriera nel contributivo sono:  

  • Minimo 20 anni di contributi versati; 
  • Almeno 67 anni di età compiuti; 
  • Pensione liquidata alla decorrenza pari o superiore a 1,5 volte l’assegno sociale in vigore l’anno del pensionamento. 

Come è evidente, tra pensione anticipata contributiva e pensione di vecchiaia ordinaria qualcosa nei requisiti cambia. L’età passa da 64 a 67 anni e la pensione minima passa da 2,8 volte l’assegno sociale a 1,5 volte. Viene meno, a 67 anni, il fattore della contribuzione che non deve essere antecedente il 1996. In termini pratici, la nostra lettrice per andare in pensione con la vecchiaia ordinaria quando compirà 67 anni di età, dovrà centrare una pensione pari ad almeno 702,42 euro al mese (ma sarà più alta dal momento che bisogna vedere l’assegno sociale del 2025 che importo sarà). Infatti una pensione pari ad 1,5 volte l’assegno sociale nel 2022, è pari a 702,42 euro al mese (468,28 per 1,5).

Se non si arriva ad una pensione di questo importo, il rischio concreto è di slittare la data di pensionamento a 71 anni. A quella età infatti, non esistono vincoli di assegno minimo. E inoltre, la contribuzione minima scende a 5 anni.  

In soccorso dei casi più disperati, ecco l’assegno sociale 

Chi può e chi si trova in una condizione come questa di cui abbiamo trattato nell’articolo, a 67 anni, potrebbe optare per l’assegno sociale. Misura questa assistenziale e non previdenziale, che non ha un minimo di contributi da detenere. Ma bisogna essere in condizioni disagiate dal punto di vista reddituale. Per chi ha redditi entro determinate soglie previste dall’INPS, l’assegno sociale può diventare un assegno di accompagnamento alla pensione a 71 anni.