Col passare del tempo prende sagoma la riforma delle pensioni anticipate che sostituirà quota 100. Tutte le ipotesi allo studio convergono verso una uscita a 62 anni per tutti, ma in maniera flessibile.

Il ritorno alle regole della Fornero (in pensione di vecchiaia a 67 anni) sarà evitato in ogni modo. Su questo punto sarebbero d’accordo un po’ tutti, dai sindacati ai partiti per finire a Palazzo Chigi. Del resto è inconcepibile che, all’ombra di una disoccupazione giovanile al 33% non si possano liberare posti di lavoro.

Pensione a 62 anni, l’opzione contributiva

Mandare però in pensione tutti a 62 anni con un minimo di versamenti di 20 anni sarebbe però troppo oneroso. Così, nei giorni scorsi sarebbe avanzata l’idea, suggerita dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico, di liquidare le prestazioni in due tranches.

Una prima tranche di pensione subito, al raggiungimento dei 62 anni, a valere elusivamente sui versamenti effettuati nel sistema contributivo. Cioè quelli maturati dal 1996 in poi. E una seconda parte, al raggiungimento dei 67 anni, a valere sulla restante parte dei versamenti effettuati prima del 1996 a valere sul sistema di calcolo retributivo.

La soluzione avrebbe il merito di mantenere in equilibrio i conti dell’Inps e, grazie ai risparmi realizzati da quota 100 (9 miliardi di euro), di aprire le porte al pensionamento anticipato a molti lavoratori. Persone che resterebbero tagliate fuori dal 2023 con la fine di quota 100.

L’opzione, però, ha già riscontrato la ferma opposizione dei sindacati che hanno bocciato sul nascere l’idea di Tridico invitandolo a occuparsi di far funzionare l’Inps piuttosto che a formulare ipotesi sulla riforma delle pensioni. Cosa che spessa alla politica e alle parti sociali.

La flessibilità

Così dai piani del Ministero del Lavoro trapelano indiscrezioni sulla possibilità di mantenere valido il requisito anagrafico a 62 anni senza penalizzazioni di calcolo, ma con flessibilità in uscita.

Come? In base ai contributi versati e alla tipologia di lavoro svolto.

Quindi agganciare la flessibilità al lavoro gravoso e usurante svolto nella carriera lavorativa. Così, per fare un esempio, un operaio edile potrebbe andare in pensione anticipata a 62 anni con 30 anni di contributi. Mentre un impiegato maturerebbe il diritto a lasciare il lavoro sempre a 62 anni, ma con 38 di contributi (come per quota 100).

Insomma, l’ipotesi allo studio, tenuta ferma l’età anagrafica a 62 anni, vedrebbe uscire più anticipatamente chi ha svolto lavori usuranti rispetto a chi ha lavorato in settore meno gravosi. Allo scopo andrebbe stilata una sorta di elenco di categorie entro le quali far confluire tutte le tipologie di lavoro, dagli operai, agli impiegati, passano per i docenti, i lavoratori autonomi, ecc.

Altro parametro da considerare sarà il numero di anni passati a svolgere determinate attività. Così chi ha fatto il minatore per 30 anni avrà diritto a lasciare il lavoro prima, in base ai contributi versati, rispetto a chi ha svolto lo stesso mestiere per 10 anni e poi ha fatto l’impiegato.

Quota 41

In abbinamento a questo sistema di flessibilità in uscita, peraltro già proposto in passato da Tridico, ci sarebbe anche quota 41. Cioè una seconda opzione di uscita, a prescindere dall’età anagrafica, che consente al lavoratore di andare in pensione avendo maturato almeno 41 anni di contributi.

Quota 41 si avvicinerebbe molto alle regole già previste dalla Fornero che indicano una uscita anticipata a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. A prescindere dall’età anagrafica che, come noto, è fissata a 67 anni per entrambi i sessi.