La campagna elettorale ha preso il via e uno dei principali terreni di scontro riguarda le pensioni. Il boccone è ghiotto perché interessa potenzialmente più di un terzo dell’elettorato in Italia.

Così si va dalle promesse di Berlusconi per le pensioni minime a 1.000 euro a quelle della Lega per Quota 41. Passando per le uscite anticipate a partire da 62 anni del centro sinistra e per finire con la pensione in due tranches del M5S.

Riforma pensioni rinviata a tempi migliori

Una cosa, però, appare certa: i tempi tecnici fra insediamento del Parlamento e formazione del nuovo governo non ci sono per fare una riforma pensioni con i dovuti crismi.

E inserirla nella legge di bilancio in fretta e furia comprometterebbe la quadratura dei conti e la sostenibilità finanziaria dello Stato.

Del resto l’Inps, nel suo Rapporto annuale, ha già messo in guardia il Parlamento a non commettere errori. Con una spesa pensionistica lievitata a quota 312 miliardi nel 2021 e il rischio di patrimonio negativo da 90 miliardi fra qualche anno, occorre fare attenzione.

Così la riforma pensioni è rinviata a tempi migliori e il ritorno alla Fornero è solo una questione di tempo. Dal prossimo anno si andrà tutti in pensione coi requisiti ordinari a 67 anni di età o, in alternativa, con 41-42 anni e 10 medi di contributi.

Cosa può cambiare per il 2023

Detto questo, i segnali di apertura del governo verso i sindacati per portare a compimento la riforma pensioni non mancano. Entro fine anno scadrà anche Quota 102, che potrebbe essere prorogata diventando Quota 103 (pensione a 65 anni con 38 di contributi).

Ma sul tavolo c’è anche Ape Sociale in scadenza che dovrà essere riconfermata. Così come Opzione Donna che il PD vorrebbe diventasse strutturale, ma che da Bruxelles non vorrebbero più vedere.

C’è poi da vagliare la proposta del presidente dell’Inps Pasquale Tridico per una pensione flessibile poco onerosa.

O meglio, una uscita unica dal lavoro a 63-64, ma con pagamento della pensione in due rate.

Una prima parte di pensione sarebbe liquidata subito, ma a valere solo sui versamenti effettuati nel sistema contributivo. Cioè quelli maturati dal 1996 in poi. E una seconda parte della pensione al raggiungimento dei 67 anni, a valere sulla restante parte dei contributi versati prima del 1996, cioè nel sistema di calcolo retributivo.

La soluzione avrebbe il merito di mantenere in equilibrio i conti dell’Inps. E, grazie ai risparmi realizzati da quota 100 (9,5 miliardi di euro), di aprire le porte al pensionamento anticipato a molti lavoratori.