La rivoluzione del sistema previdenziale parte da una determinata età e non da una determinata misura. Infatti sembra che l’esecutivo presieduto dalla prima donna Premier della storia della Repubblica, cioè Giorgia Meloni, ha individuato nei 61 anni di età la soglia a partire dalla quale mandare in pensione alcuni lavoratori. Naturalmente nulla ancora di deciso perché la manovra finanziaria deve essere ancora completata e, soprattutto, pubblicata. Ma 61 anni di età è l’ipotesi che di fatto, e addirittura per due distinte misure, cioè per la quota 41 per tutti e per la ipotetica nuova quota 100 o 102, più ricorrente.

“Buongiorno, mi chiamo Manuele e vi chiedo di darmi alcune delucidazioni in merito a cosa accadrà nel 2023 per le pensioni. Io sono un lavoratore dipendente praticamente da quando avevo 22 anni. Ho cambiato davvero mille lavori passando dall’edilizia all’industria, dal carico e scarico merci alla falegnameria. Spesso ho lavorato male, nel senso che ho trovato assunzioni “particolari” perché ho pochi contributi versati. Infatti, all’età di 60 anni compiuti lo scorso giugno, mi sono trovato con un estratto conto scarno. Ho fatto fare i conteggi e ho poco più di 29 anni di contributi versati. Ma l’anno prossimo ho sentito che c’è la possibilità di pensionamento a 61 anni. Io li compirò a giugno 2023. Potrò mai andare in pensione con il nuovo governo? Vi chiedo se potete spiegarmi in parole povere cosa sta accadendo dal momento che non ho capito bene chi e come potrebbe andare in pensione all’età di 61 anni.”

Tutti in pensione a 61 anni con il nuovo governo? Anche se sembra così, nessuna illusione

Purtroppo ciò che dimostra il nostro lettore è la grande confusione che si sta generando intorno a queste ipotetiche e agognate misure di pensionamento che faranno capolino nella Legge di Bilancio. Data l’imminenza della pubblicazione della manovra di fine anno, che conterrà il solito pacchetto pensioni, continuiamo a credere che di nuove misure non ce ne saranno.

E che le eventuali novità potranno essere posticipate a interventi in corso dell’anno 2023. Una promessa fatta sempre questa, perché ogni anno quando la legge di Bilancio viene chiusa ed è priva di novità pensionistiche, si dice che se ne riparlerà ad anno nuovo con provvedimenti ad hoc. Salvo poi rimandare tutto alla legge di Bilancio successiva. Quello che si prospetta sono le conferme di un altro anno di APE sociale e forse di opzione donna. O magari anche dell’attuale quota 102. Quindi, vietato sognare il pensionamento a 61 anni come fa il nostro lettore. Anche perché, a prescindere da novità nella legge di Stabilità, la sua situazione anagrafica e contributiva non lo autorizza a pensare alla pensione. O non ancora, per lo meno.

A 61 anni in pensione, ma servono carriere comunque lunghissime

Inps certificazione pensione

Foto: Web

Andare in pensione a 61 anni di età potrebbe essere possibile. Usare il condizionale però non è un eccesso di cautela, ma un doveroso obbligo. Infatti siamo ancora nel campo delle semplici ipotesi, tanto è vero che l’età di 61 anni viene accostata a diverse misure pensionistiche e spesso alternata ai 62 o 63 anni. A 61 anni si dovrebbe poter lasciare il lavoro, in base alle ultime indiscrezioni, con la quota 41 per esempio. Ma anche con la quota 100 o con le variabili quota 102 o quota 103, anche se poi occorre spiegare che senso ha anticipare la pensione a 61 anni se poi al lavoratore viene chiesto di raggiungere i 42 anni di contributi per completare la quota 103 (61+42 fa 103). Con 42 anni e 10 mesi di contributi si centra la pensione anticipata ordinaria, e per le donne la stessa misura si completa con 41 anni e 10 mesi di carriera. Con quota 41 servirebbero 61 anni di età, e la somma di età e contribuzione darebbe 102.

La vera flessibilità è un’altra

Evidente che in ogni caso ci vogliono lunghe carriere contributive per poter accedere alla meritata quiescenza. Anche con le nuove misure. Perfino con la quota 100 a 61 anni servirebbero 39 anni di carriera. La vera flessibilità però è un’altra. Servirebbe l’uscita a 61 anni ma libera da vincoli e con una soglia di contribuzione più bassa da raggiungere. Se non si può fare a 20 anni, almeno dovrebbe partire dai 25/30 anni. Perché sono molti i lavoratori che storicamente hanno carriere costellate da problematiche di intermittenza, o come nel caso del nostro lettore, di “sfortuna”. Tanti hanno lavorato per anni ma si trovano con carriere scarne per colpa di datori di lavoro poco “ortodossi”: Andrebbe valutato anche l’effetto deterrente che il consentire una uscita anticipata dal mondo del lavoro avrebbe nei confronti dei diretti interessati. Uscire prima significa perdere parte della pensione teoricamente maturata a 67 anni o con 42 anni e 10 mesi di contributi. In sostanza sarebbe il lavoratore a rimetterci. Allora tanto vale permettere ai lavoratori di uscire anche a 61 anni e pure con 30 anni di contributi. Prendendo una pensione inferiore a quella a 67 anni, ma a libera scelta. Lavorare altri 5 anni e fino a 67 per esempio, darebbe diritto a un assegno più alto. Anche perché il coefficiente usato dall’INPS per trasformare il montante dei contributi in pensione è più penalizzante a 61 anni rispetto che a 62 anni. E fino a 67 è sempre meno favorevole.