Si torna a parlare di flessibilità e di pensioni a tranches. Vista e considerata l’impossibilità di trovare soluzioni adeguate per il dopo Quota 103, torna in auge l’ipotesi ventilata lo scorso anno dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico di concedere ai lavoratori l’uscita anticipata a 63 anni. Ma solo a metà.

Un’idea che aveva suscitato perplessità e allo stesso tempo curiosità per come si sarebbe potuta gestire la riforma pensioni. Anche se appare, a prima vista, l’ennesimo escamotage per arrampicarsi sugli specchi nel tentativo di evitare il ritorno integrale delle regole Fornero dal 2024.

Così come vorrebbe la Lega proponendo, in alternativa, Quota 41 per tutti.

La pensione in due tranches

Ma vediamo come funzionerebbe la proposta sulle pensioni avanzata dall’Inps. Secondo la massima istituzione in materia di previdenza, l’uscita anticipata potrebbe essere concessa già a partire da 63 anni di età. Ma solo per quanto riguarda la parte contributiva della pensione maturata. Cioè a valere su quella parte di montante contributivo versato e rivalutato dal 1996 in poi, come previsto dalla riforma Dini del 1995.

Il resto della pensione sarebbe liquidato al raggiungimento dell’età di vecchiaia (oggi a 67 anni) per la parte restante retributiva maturata. Cioè per gli anni di lavoro prestati prima del 1996 che danno origine a una rendita calcolata sulla base della media delle ultime retribuzioni percepite a suo tempo. Cifra opportunamente rivalutata, e che è più vantaggiosa rispetto al calcolo contributivo.

In buona sostanza – spiega il presidente dell’Inps Pasquale Tridico – la pensione mista, quella oggi pagata con le regole in vigore, non sarebbe liquidata in una unica soluzione, ma in due tranches distanziate di 4 anni l’una dall’altra. Ciò comporterebbe, da un lato un minore impatto sui conti pubblici rispetto a una riforma come quella ipotizzata di Quota 41, mentre dall’altro darebbe la facoltà al lavoratore di uscire prima.

Con almeno i due terzi dell’assegno previsto.

La flessibilità in uscita

In questo modo montano le possibilità di riformare il sistema in mnaiera più flessibile, come auspicato dal governo Meloni. Con la possibilità di mantenere valido il requisito anagrafico a 63 anni (forse 64) senza penalizzazioni di calcolo, come invece proposto in passato per le uscite anticipate. L’impianto così congeniato dall’Inps sarebbe sostenibile economicamente, ma condurrebbe a delle penalizzazioni in capo ai pensionati.

In buona sostanza si manterrebbe aperta la strada dell’anticipo della pensione solo per la parte contributiva. L’anticipo sarebbe di 4 anni rispetto alla pensione di vecchiaia, la cui liquidazione avverrebbe per la sola parte maturata fino alla data di pensionamento e che sarebbe congelata. A 67 anni, con il completamento della pensione, si aggiungerebbe solo la fetta di pensione retributiva restante, senza nessun ricalcolo di quella contributiva.

In altre parole il sistema di calcolo della pensione mista verrebbe sdoppiato e liquidato separatamente. Così lo Stato risparmierebbe perché dal sistema duale scaturirebbe una penalizzazione per il pensionato che accetta di andare in pensione prima.

In pensione a 63 o 67 anni?

Ma veniamo ai vantaggi e agli svantaggi della pensione in due tranches. Premesso che oggi la maggior parte dei lavoratori percepisce una rendita liquidata per circa due terzi nel sistema contributivo e un terzo in quello contributivo, è opportuno fare due conti. In sintesi, percepire una prima parte di pensione a 63 anni e poi il resto a 67 anni implica delle perdite anche sostanziali.

A 63 anni sarebbe infatti applicato al montante contributivo un coefficiente di trasformazione più basso che a 67. Senza entrare nei dettagli, si tratta di un 13,8% di differenza che si ripercuoterebbe sull’importo della pensione. O meglio, sulla parte più ponderante. Non poco. A 67 anni, poi, arriverebbe il resto della rendita, ma calcolata solo sulla parte retributiva rimanente.

I due importi si sommerebbero.

Il vantaggio per il lavoratore consiste nella possibilità di lasciare il lavoro anzitempo con una rendita inizialmente ridotta, ma che poi si alzerebbe al compimento dei 67 anni di età. L’alternativa sarebbe quella di percepire una pensione piena, calcolata con il sistema misto, al raggiungimento dei requisiti di vecchiaia, ma quattro anni più tardi.