Per i non residenti in Italia, coloro che non sono iscritti presso gli uffici anagrafici comunali per la maggior parte del periodo di imposta (183 giorni l’anno) e non hanno domicilio nello Stato italiano, né la residenza, i redditi sono calcolati esclusivamente nel Paese estero di residenza.

I pensionati che hanno trasferito la propria residenza all’estero devono fornire una prova reale del trasferimento e dimostrare che i rapporti di affari, sociali, morali e familiari non sono più in Italia.

Per dare questa prova è possibile utilizzare qualsiasi tipo di documentazione: l’iscrizione all’Aire, ad esempio, o il documento di identità dello Stato estero, la dichiarazione dei redditi locali, la dichiarazione di residenza fiscale rilasciata annualmente dall’amministrazione tributaria dello Stato in cui si risiede e il pagamento delle imposte locali possono essere documenti che comprovino la residenza all’estero.

Con il decreto del ministero dell’Economia del 2014, infatti, si è stabilito che gli italiani non residenti sono tenuti a versare le tasse allo Stato Italiano solo qualora possiedano beni in Italia o hanno prodotto redditi in Italia a meno che non esistano convenzioni con lo Stato estero di residenza. Le convenzioni hanno l’intento di eliminare le doppie imposizioni ma anche quello di prevenire l’evasione fiscale, che è sempre più frequente in caso di residenza all’estero.

Se la nazione in cui ci si trasferisce, quindi, ha una convenzione con l’Italia la doppia imposizione non dovrebbe esistere. Al contrario, il contribuente che si ritrova a subire una doppia imposizione fiscale può chiedere un rimborso al centro operativo dell’Agenzia delle Entrate entro 48 mesi dalla data del pagamento dell’imposta.

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