I paradisi fiscali sono da sempre visti in maniera negativa perché sottraggono ricchezza alle economie più avanzate che notoriamente hanno un livello di tassazione elevato.

Credere però che i paradisi fiscali nascano e possano rimanere in piedi solo per volontà degli Stati che attuano un regime di tassazione privilegiata è falso. Spesso i paradisi fiscali nascono proprio per volontà di chi dice di non volerli.

Chi vuole i paradisi fiscali

Escludendo i piccoli Stati offshore che rischierebbero di scomparire se non potessero attrarre capitali grazie a un regime di tassazione privilegiata (vedi Panama, Cayman, Bermuda, Belize e tutti quegli arcipelaghi caraibici) all’interno delle grandi aree geografiche sono nati e sopravvissuti nel tempo nazioni a bassa tassazione per tutelare gli interessi di grandi imperi finanziari e multinazionali che hanno ormai raggiunto dimensioni di bilancio superiori a quelli delle nazioni.

Le 5 più grandi corporations tecnologiche quotate a Wall Street, messe insieme, hanno bilanci superiori a quelli di Germania e Francia messe insieme. Quindi, non c’è da stupirsi se all’interno dell’Unione Europea ci sono stati come l’Irlanda, l’Olanda e il Lussemburgo (ma ce ne sono anche altri più piccoli) che agevolano la fiscalità delle imprese registrate sul loro territorio. Con notevole depauperamento di risorse per gli altri Stati comunitari, costretti ad alzare le tasse per permettere alle piccole e grandi imprese di arricchirsi.

Italia quarto Paese Ue evasore offshore

A beneficiare di questa situazione è anche l’Italia. Il nostro Paese è il quarto all’interno della Ue per evasione offshore (142 miliardi di euro) dopo Germania, Francia e Gran Bretagna, seguita da vicino dalla Spagna a quota 102 miliardi, mentre la distanza dalla prima in classifica è siderale. La Germania vanta infatti il non felice primato di oltre 330 miliardi nascosti nei paradisi fiscali. Francesi e britannici a loro volta hanno nascosto rispettivamente 277 e 218 miliardi

Basta coi paradisi fiscali in Europa

A lanciare il grido di allarme è stato recentemente il presidente dell’Antitrust, l’Autorità di vigilanza sul mercato, Roberto Rustichelli, durante un’audizione alla Camera.

Rustichelli è stato chiaro e tranchant: “così non si può più andare avanti”. Sono anni che lo si dice e ancora nulla è stato fatto per sanare queste profonde disparità e ingiustizie all’interno di una Unione che appare sempre più disomogenea a livello fiscale al suo interno. Lo aveva fatto notare anche il presidente degli Stati Uniti Donald Trump che due anni fa ha abolito il regime di fiscalità agevolata nel Delware (per anni paradiso fiscale degli USA). “L’attuale quadro normativo dell’Unione europea  – fa notare Rustichelli – determina una disparità di condizioni concorrenziali nel mercato tra Stati membri e operatori, in quanto, da un lato, favorisce il dumping fiscale e contributivo tra Paesi e, dall’altro, è inadeguato a garantire una tassazione efficace ed equa dell’economia digitale. Del resto, i problemi della concorrenza fiscale sleale sono sempre più al centro del dibattito economico e politico nell’Unione europea. L’esperienza, unica nella storia del nostro continente, di un’unione monetaria accompagnata da una crescente integrazione dei mercati reali e finanziari è sempre più incrinata dall’assenza di stringenti regole comuni fiscali e contributive”.

Chi paga il conto

Secondo l’Antitrust, “tale vuoto normativo rende possibile ad alcuni Stati membri di porre in essere pratiche di dumping fiscale e contributivo, che possono minare le fondamenta della stessa costruzione europea. Paesi come l’Irlanda, l’Olanda e il Lussemburgo sono veri e propri paradisi fiscali nell’area euro, che attuano pratiche fiscali aggressive che danneggiano le economie degli altri Stati membri e che, anche grazie a queste pratiche, registrano elevatissimi tassi di crescita”. La prova è visibile e tangibile nei conti. Negli ultimi 5 anni il Pil italiano è cresciuto solo del 5%, mentre il Pil dell’Irlanda è cresciuto del 60%, quello del Lussemburgo del 17% e quello dell’Olanda del 12%.

E così anche il reddito pro capite di chi vive in quei Paesi: a fronte di un reddito pro-capite nel 2019 in Italia pari a euro 28.860, si registra in Lussemburgo un reddito pro capite di 83.640, in Irlanda di 60.350 e in Olanda di euro 41.8701. Una vergogna se si pensa che, da un lato ogni giorno si combatte l’evasione fiscale e poi, dall’altro si permette a qualcuno di non pagare le tasse.