Opzione Donna non subirà modifiche rispetto a quest’anno. Il Parlamento è intenzionato a non cambiare il progetto inizialmente presentato dal governo Meloni per un innalzamento del requisito anagrafico a 60 anni con sconto per le lavoratrici madri.

Anche i requisiti legati a particolari condizioni sociali (caregiver, handicap e stato di disoccupazione) dovrebbero essere cancellati. Al punto che la nuova versione di Opzione Donna 2023 dovrebbe restare uguale a quella vecchia.

Opzione Donna 2023, stop alle modifiche

Si andrà quindi in pensione ancora a 58-59 anni con 35 di contributi? Molto probabile, ma per avere la conferma bisognerà aspettare ancora qualche giorno quando il Parlamento licenzierà la relativa norma nella Legge di bilancio.

Col rischio dell’ennesimo pasticcio all’italiana.

A questo punto viene da chiedersi se tutto rientra nei piani originari di una proroga secca di Opzione Donna. Gli esperti fanno notare che già lo scorso anno, col governo Draghi, erano scoppiate alcune polemiche sulla proroga del meccanismo di pensione anticipata per le lavoratrici.

Polemiche che facevano leva sulle indicazioni (vere o presunte) giunte da Bruxelles circa il capitolo delle pensioni anticipate. Inizialmente era trapelata l’intenzione di non prorogare Opzione Donna al 2022 o quantomeno di alzare il requisito anagrafico a 60 anni. Cosa che puntualmente si è ripetuta quest’anno.

Sembra quasi che la questione Opzione Donna sia utilizzata dal potere politico e pompata dai media per fare credere all’esterno che l’Italia ha intenzione di fare una riforma pensioni. Ma solo nelle intenzioni, poi in realtà si lascia tutto com’è. Del resto, “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.

Appeal in crescita

Ma perché si sta cercando di limitare, se non sopprimere, l’accesso a Opzione Donna? La questione dei diritti della lavoratrici o dei dubbi costituzionali legati alla nuova proposta di governo lascia il tempo che trova. La verità, secondo gli esperti sono i costi.

Opzione Donna comincia a pesare troppo sui conti. Non tanto per la giovane età di uscita dal lavoro, quanto perché più passa il tempo e meno conveniente diventa per lo Stato pagare questo tipo di prestazioni. La penalizzazione sul calcolo della rendita per le lavoratrici tende, infatti, a diminuire col passare degli anni (i contributi da migrare nel sistema contributivo sono in calo per la generalità delle aventi diritto). Per contro, tende ad aumentare il costo delle pensioni per lo Stato. Se 10 anni fa questa misura rendeva particolarmente sconveniente andare in pensione anticipata, oggi non è più così.

Volendo fare un esempio pratico, una lavoratrice che va in pensione nel 2023 con Opzione Donna, con 35 anni di contributi e 58 di età, migrerà 8 anni di contributi dal sistema retributivo a quello contributivo. La stessa lavoratrice, cinque anni fa, ne avrebbe migrati 13, quindi avrebbe subito una penalizzazione maggiore.

Di fatto questo meccanismo ha sempre reso sconveniente in passato la scelta di Opzione Donna per andare in pensione. Tant’è che i numeri in crescita oggi lo dimostrano.