Nessun ripensamento per Opzione Donna. Le regole sull’uscita anticipata dal lavoro prevista per le lavoratrici, modificate dalla legge di bilancio 2023, non cambiano. Il redente Decreto Lavoro del 1 maggio non ha previsto modifiche, come si pensava, alla nuova versione di pensionamento.

Nonostante la ministra del Lavoro Maria Elvira Calderone si sia detta disposta a rivedere Opzione Donna entro l’anno, dal Mef e dal Parlamento per ora è arrivata una secca smentita. Secondo fonti ministeriali non sarebbe più possibile intervenire sul meccanismo di pensionamento in corso d’opera.

Le modifiche sono già state recepite e riammorbidire i requisiti scatenerebbe una valanga di ricorsi oltre che di cause.

Opzione Donna, non si torna indietro

Le modifiche di Opzione Donna adottate dal governo Meloni, nonostante le proteste, rappresentano quidni un deciso cambiamento di rotta che non lascia dubbi sulle intenzioni dell’esecutivo di tagliare le pensioni anticipate. Come confermato anche dal sottosegretario all’Economia Federico Freni in una sua dichiarazione:

“Purtroppo Opzione donna non era sostenibile economicamente. Ma si tratta di una misura che intercetta un bisogno di tutela cui non possiamo e non vogliamo negare risposte

Non è quindi passata la recente votazione alla Camera sull’emendamento presentato dall’opposizione che proponeva un ripristino dei requisiti iniziali di Opzione Donna. O quantomeno di abolire la differenza anagrafica fra donne con figli e donne senza figli che incide sull’importo della pensione creando discriminazione. Penalizzando, così, le une rispetto alle altre.

Cosa prevede la nuova versione 2023

Ma cosa è cambiato in sostanza da quest’anno per Opzione Donna? Innanzitutto l’età anagrafica che sale di due anni: non più 58 anni (59 per le autonome) ma 60 per tutte. Resta la possibilità di ottenere uno sconto di un anno per ogni figlio fino al limite di 58 anni. Non cambia, invece, a 35 anni il requisito contributivo minimo.

Ma il vincolo più stringente riguarda l’appartenenza a determinate categorie sociali svantaggiate non contemplate fino al 2022.

Da quest’anno per andare in pensione con Opzione Donna bisogna rientrare in una delle seguenti condizioni:

  • caregiver;
  • disoccupate;
  • invalide civili.

Nuovi paletti che restringono parecchio l’accesso alla pensione anticipata. In questo senso, come evidente, Opzione Donna tende ad allinearsi ai requisiti previsti per Ape Sociale. Le condizioni previste dalla riforma sono le stesse richieste da chi può ambire all’uscita anticipata dal lavoro a 63 anni di età con 30 di contributi. Quindi un requisito anagrafico più alto, ma contributivo più basso.

Pensione più alta a 60 anni

La nuova versione di Opzione Donna presenta quindi delle differenze che incidono sull’importo della rendita. Per chi ha figli e può beneficiare dello sconto anagrafico fino a 2 anni di età, cioè andare in pensione a 58-59 anni rispetto ai 60 di chi non ha figli è penalizzante.

Questo perché, a parità di contributi, è l’età che incide maggiormente sul calcolo dell’assegno. La pensione è liquidata partendo dal montante contributivo della lavoratrice a cui si applica il coefficiente di trasformazione in base all’età anagrafica al momento della richiesta di pensione.

Quindi, una lavoratrice che va in pensione anticipata con Opzione Donna a 58 anni prenderà meno di una che ci va a 60 anni. Quindi, le donne con figli possono andare in pensione prima, come previsto dalla legge di bilancio 2023, ma devono sapere che ciò implica una perdita economica. E se questo può considerarsi un vantaggio dal punto di vista anagrafico, in effetti non lo è dal punto di vista economico.

Avere dei figli e andare in pensione prima con Opzione Donna è quindi più penalizzante. Con un montante contributivo da 200 mila euro, ad esempio, si ottiene una pensione da 8.756 euro all’anno a 58 anni. Mentre a 60 anni, con lo stesso montante, si ottiene una rendita di 9.230 euro.

Una differenza del 5,4%.