La riforma pensioni con Opzione Donna varata dal governo Meloni sarebbe partita col piede sbagliato. A sostenerlo è Susanna Camusso, senatrice Pd ed ex segretaria generale della CGIL, che parla duramente di discriminazione fra le donne.

Trattandosi di opposizione politica tutto rientra nel gioco delle parti, se non che le affermazioni della Camusso appaiono completamente prive di fondamento e deleterie. Anche perché di mezzo non c’è solo un partito politico, ma anche un grande sindacato rappresentativo dei lavoratori.

Opzione Donna, gigantesca discriminazione

Camusso, in una dichiarazione alla stampa nazionale, dice che la riforma di Opzione Donna è una “gigantesca discriminazione” perché favorisce le donne con figli a svantaggio di quelle senza figli.

Nel dettaglio, la nuova versione di Opzione Donna 2023 prevede, infatti, un innalzamento del requisito anagrafico a 60 anni per tutte le lavoratrici indistintamente.

Chi però ha figli potrà contare dal 2023 su uno sconto fino a riportare alle origini i requisiti anagrafici di Opzione Donna. Con un figlio si potrà andare in pensione anticipata a 59 anni, con due o più figli a 58 anni. La riforma, ovviamente, va nella direzione della maggior tutela della maternità e anche il lavoro domestico e familiare non riconosciuto. Impegni quotidiani importanti che, obiettivamente, sono diversi per chi ha figli rispetto a chi non li ha.

Non dimentichiamo che nel 2021 – secondo i dati dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro – ben 38 mila lavoratrici hanno abbandonato l’attività lavorativa durante i primi 3 anni di vita dei figli. Contro meno della metà degli uomini. Quindi, se vogliamo, la discriminazione parte da qui, non certo dalle pensioni, che rappresentano l’atto finale di una carriera lavorativa.

Semmai, dunque, la riforma di Opzione Donna interviene proprio per compensare queste differenze che hanno ricadute pesanti per una lavoratrice con figli rispetto a una donna che figli non ha. Non dimentichiamo, inoltre, che la manovra del governo è anche atta a stimolare la natalità in Italia, arrivata ai minimi storici.

Ma gli sconti pensione per le donne ci sono sempre stati

Ma il punto più controverso che contraddice la Camusso nelle sue dichiarazioni riguarda un altro aspetto. E, cioè, che gli sconti pensione per le donne con figli esistono da molto tempo. Non è una novità del governo Meloni. Politiche sociali che sono sempre state all’attenzione di tutti i governi italiani. Soprattutto di quelli tecnici, sostenuti anche dal Pd o dalla sinistra vecchio stile che andava a braccetto coi sindacati.

Nota è la riforma pensioni introdotta nel 1995 da Lamberto Dini riguardante lo sconto sul requisito dell’età per la pensione di vecchiaia per le donne con figli. Nel sistema contributivo puro si arriva fino a 12 mesi di età anagrafica in meno con tre o più figli, rispetto agli uomini.

C’è poi la riforma Fornero che prevede per le donne la pensione anticipata a 41 anni e 10 mesi di contributi, contro i 42 anni e 10 mesi riservati agli uomini. Riforma votata e approvata anche dalla sinistra nel nella legge di bilancio 2012.

Anche con Ape Sociale donne in pensione due anni prima

Infine, c’è la riforma pensioni che introdusse Ape Sociale sotto il governo Gentiloni nel 2017. Anche qui le donne godono di uno sconto pari a quello previsto per Opzione Donna. Per le lavoratrici, per chi non lo sapesse, esiste una riduzione dei requisiti contributivi pari a 12 mesi per ciascun figlio nel limite massimo di 24 mesi.

Una riforma che i sindacati accolsero con favore nel 2017 a maggior tutela del lavoro femminile. Soprattutto per quanto riguarda l’anticipo pensionistico previsto da Ape Sociale a partire da 63 anni di età con almeno 30 anni di contributi.

Ma la Camusso non ha dubbi nel bocciare senza appello la parte che si occupa delle pensioni varata dalla Meloni, definendola “triste e oscurantista, ci fa fare un improvviso salto all’indietro“.

Secondo la senatrice Opzione Donna “è già penalizzante perché si perde il 30-35% dell’assegno col ricalcolo contributivo. Ma così si dimostra che in questo Paese la contribuzione delle donne vale meno di quella degli uomini”.

Opzione Donna è penalizzante, ma non discriminante

Altre parole prive di fondamento. Vero che, come abbiamo sempre spiegato su queste pagine, Opzione Donna è penalizzante, ma non tanto per effetto del ricalcolo della pensione col sistema contributivo, ma perché si esce a 58-59 anni dal lavoro. E questo vale per tutti, non solo per le donne. I coefficienti di trasformazione, che determinano l’importo della pensione in base all’età, sono applicati al montante contributivo che non ha sesso.

Sostenere, quindi, che le “pensioni rosa” valgano meno di quelle degli uomini sotto questo aspetto è sbagliato. I contributi hanno lo stesso peso e la stessa misura per tutti. Chi esce con Opzione Donna a 64 anni, ad esempio, avrà una rendita più alta di chi esce a 58 anni a parità di contributi versati.

Certo, il sistema di calcolo della rendita incide sull’importo della pensione rispetto al sistema misto. Ma si tratta di una scelta, non di un obbligo, che ogni lavoratrice ha il diritto di valutare. E se fosse come dice la Camusso non avremmo ogni anno 20 mila pensionamenti (dati Inps) fra le lavoratrici con Opzione Donna.