Opzione donna: da un lato ci sono le lavoratrici che chiedono l’estensione al 2018, dall’altro quelle che, per la proroga per tutto il 2015, hanno già raggiunto i requisiti per l’accesso alla pensione anticipata con calcolo contributivo. In queste ultime ore sono soprattutto le prime a ricevere attenzione mediatica perché la possibilità di proroga dell’opzione donna fa notizia e tiene banco. Tuttavia chi ha già optato per l’opzione donna dovrebbe fare attenzione a controllare l’importo dell’assegno per scongiurare eventuali errori che, a quanto pare, non sono affatto rari.

Si è discusso della penalizzazione che comporta sulla pensione il passaggio al calcolo contributivo: l’Inps, con errori sulla liquidazione, potrebbe però aver applicato ulteriori decurtazioni penalizzanti a carico delle donne che vanno in pensione prima usando la finestra dell’opzione donna. E, stando ai numeri, non si tratta neanche di eccezioni: almeno il 38% delle pensioni liquidate tramite opzione donna ha subito tagli extra e ingiustificati che vanno mediamente dai 150 ai 300 euro. A che cosa sono dovuti e come porci rimedio? Lo spieghiamo nelle prossime pagine di questa guida.    

Opzione donna, come si calcola la pensione

Per controllare se si è tra le vittime di questi errori di calcolo pensione, occorre ricordare in primis come si arriva all’assegno. L’opzione donna permette alle lavoratrici di scegliere la pensione anticipata finendo di lavorare rispettivamente a 57 anni e 3 mesi per le dipendenti e 58 e 3 mesi per le autonome, entrambe con almeno 35 anni di contributi alle spalle. Tra il raggiungimento dei requisiti alla pensione anticipata con opzione donna si colloca una finestra di 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome. Il “guadagno” per lo Stato è che chi usufruisce della pensione anticipata con opzione donna, accetta l’applicazione del sistema contributivo. Quest’ultimo si divide in due quote:

  • Quota A: riferibile alle annualità che precedono il 1996 e basata sulle retribuzioni annue lorde dei dieci anni compresi tra il 1986 e il 1995 (o del triennio 1993-1995, per le lavoratrici pubbliche). Le contribuzioni, ottenute applicando l’aliquota Inps alle retribuzioni, vengono sommate tra di loro e poi divise per 10 (o per 3 per il comparto della PA) per ottenere la contribuzione media annua. Infine, moltiplicando la contribuzione per le annualità che risultano prima del 1995, si ottiene il montante ai fini del calcolo contributivo;
  • Quota B: si riferisce invece intuitivamente agli anni successivi al 1996. Per ottenere il montante si tiene conto dei contributi annualmente versati e rivalutati ogni cinque anni secondo il PIL.

Per ottenere il montante totale vanno sommati i risultati delle due quote e il risultato va poi moltiplicato per il coefficiente di trasformazione (che è diverso in base all’età pensionabile), per calcolare la pensione spettante.

E qui si annida l’errore dell’Inps che porta a penalizzazioni sulla pensione.  

Calcolo pensione opzione donna: errori nella quota A

L’Istituto spesso non considera, o ne tiene conto solo parzialmente, la quota A, come avviene di norma quando si applica il metodo contributivo. In altri casi la media contributiva di questa quota avviene su base annuale, come per i contributi versati a partire dal 1996 (quota B) e non ogni 10 o 3 anni.  La maggiore percentuale di errore in questo senso si registra nelle sedi della gestione Inpdap, che pare non siano fornite dei software idonei.

Calcolo pensione opzione donna: errori nella quota B

Ma neppure il calcolo sui contributi versati da dopo il 1996 non è esente da errori. Il problema riguarda soprattutto l’applicazione delle rivalutazioni in misura ridotta, oppure l’applicazione di coefficienti relativi all’età di maturazione dei requisiti e non, come dovrebbe essere, all’età pensionabile, ma.

Errori pensione opzione donna: come fare ricorso

Qualora si riscontrino errori di calcolo nell’assegno della pensione, è senza dubbio consigliabile rivolgersi ad un consulente del lavoro.

Quest’ultimo potrà fare un ricorso amministrativo diretto contro l’Inps. Se l’istanza viene rigettata si deve procedere con ricorso alla Corte dei Conti: attenzione perché il termine di decadenza è triennale, e non più di 5 anni.