La riforma pensioni che verrà non stravolgerà l’equilibrio del sistema pensionistico, ma apporterà cambiamenti importanti di sicuro. Quota 100 finisce il 31 dicembre 2021 ed è quasi certo che non sarà prorogata.

Opzione donna, invece, molto probabilmente andrà avanti e potrebbe diventare strutturale. Così come Ape Sociale su cui si sta lavorando per allargare la platea dei beneficiari. Altri interventi, tipo quota 41 o in pensione a 62 anni, non vedranno la luce perché troppo onerosi.

Opzione donna anche nel 2022

Opzione donna, si sa è penalizzante, ma è piaciuta a molte lavoratrici.

Chi ha scelto di lasciare il lavoro al compimento di 58 anni (59 per le lavoratrici autonome) con almeno 35 anni di contributi, non si è pentito.

Per una donna, oltre al lavoro, vi sono tante altre incombenze e lavoretti domestici che, pur non essendo remunerati, sono a tutti gli effetti un secondo lavoro.

Il governo ha quindi intenzione di mantenere aperto questo canale opzionale per andare in pensione, anche se l’idea sarebbe quella di innalzare di un anno l’età pensionabile. 59 anni per le lavoratrici dipendenti e 60 per le autonome.

La misura appare abbastanza iniqua rispetto a quanto previsto finora, ma a ben guardare attendere un anno in più permetterebbe alle lavoratrici di avere un trattamento di pensione migliore che compenserebbe la penalizzazione prevista per opzione donna.

Il sistema di calcolo

Come noto, la liquidazione della pensione con opzione donna implica un calcolo interamente basato sul sistema contributivo (più penalizzante rispetto a quello misto). In pratica i contributi versati prima del 1996 vengono migrati al sistema contributivo derivandone così una penalizzazione.

Attendere un anno in più di età, nel rispetto dei 35 anni di contributi versati, implica che la pensione sarà meno penalizzante poiché ci sarebbe un anno in meno di contributi da considerare ante 1996.

Facendo un esempio, se una lavoratrice, che versa regolarmente, raggiunge i 35 anni di contributi nel 2022, questo implica che avrà 27 anni di anzianità nel sistema contributivo e 8 nel sistema retributivo.

Nel 2023, avrà rispettivamente 28 anni 7; nel 2024, 29 anni e 6. E così via.

Più passa il tempo, insomma e più l’ago della bilancia pende verso il sistema contributivo e la rinuncia al calcolo dei contributi nel sistema retributivo avrà meno peso sulla liquidazione della pensione finale.