Ci siamo occupati più volte dell’argomento dei permessi lavoro per dipendenti che studiano, in un’ottica di sensibilizzazione alla conciliazione lavoro e formazione personale o professionale. La regola generale è che gli studenti universitari che lavorano hanno diritto al permesso studio per un massimo di 150 ore annuali. E’ innegabile che il montante ore non è particolarmente corposo soprattutto in situazioni particolari come facoltà con obbligo di frequenza. Come seguire le lezioni se si lavora?

Università con obbligo di frequenza: diritto allo studio negato?

Ci ha colpito in particolare la mail di una lettrice che vorrebbe laurearsi pur essendo avanti con l’età ma, a causa dell’obbligo di frequenza, trova difficile conciliare questo desiderio con il lavoro.

Confermiamo che non esiste alcun obbligo di flessibilità a carico delle Università italiane sul fronte della gestione delle frequenze: le decisioni sono rimesse alla discrezionalità dei singoli istituti con il risultato che, per lo stesso corso di studi, università diverse possono adottare politiche differenti. Sarebbe opportuno quantomeno che gli atenei pensassero ai diritti degli studenti lavoratori, magari prevedendo orari di lezioni più facili da seguire.

Chi dà le dimissioni per studiare ha diritto alla disoccupazione?

La nostra lettrice ci chiede anche se nel caso estremo di dimissioni per inconciliabilità studio-lavoro spetta una qualche indennità di disoccupazione. In linea generale quest’ultima non viene riconosciuta per dimissioni ma solo per perdita di lavoro involontaria. Ma cosa succede se le dimissioni sono una scelta volontaria solo in apparenza?
Ora la conciliazione studio-lavoro non rientra espressamente nelle cause previste dall’articolo 2119 c.c. per il recesso per giusta causa. Tuttavia a logica potrebbe ben intendersi che il lavoratore, non potendo cambiare turni di lavoro per adattarli alla frequenza obbligatoria del corso di laurea, sia in qualche modo “costretto” a lasciare il posto di lavoro per poter studiare.

Sono invece espressamente cause di dimissioni involontarie che danno diritto alla disoccupazione, così come confermato dalla giurisprudenza di merito, l’incompatibilità ambientale dovuta ad esempio al mobbing oppure lo spostamento ad altra sede di lavoro senza che questo sia giustificato a sua volta da comprovate esigenze aziendali organizzative e produttive.

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