Il lavoro prima e la pensione poi sono indubbiamente importanti per tutti noi, in quanto ci permettono di attingere al denaro necessario per far fronte alle varie spese della vita quotidiana. A erogare tali somme di denaro, come noto, sono il datore di lavoro nel primo caso e l’istituto di previdenza nel secondo.

Ma cosa succede nel caso in cui ci si ritrovi a dover fare i conti con un licenziamento ingiusto e nel frattempo il lavoratore va in pensione.

Ebbene, in questo caso il datore deve ripagare la pensione. Ecco quanto stabilito in merito dalla Corte di Cassazione.

Licenziato ingiustamente, se torna a lavoro il datore deve ripagare la pensione: la sentenza della Corte di Cassazione

Abbiamo già visto che l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale può rifiutare di pagare la pensione anche se riconosciuta dal tribunale. Oggi, invece, ci soffermeremo su una sentenza del Tribunale in base alla quale se una persona viene licenziata ingiustamente, se torna a lavoro il datore deve ripagare la pensione. Ma cosa è successo?

Ebbene, come sottolineato dalla Corte di Cassazione in una recente pronuncia, un datore di lavoro è stato condannato al risarcimento del danno per aver licenziato ingiustamente un lavoratore, nel frattempo andato in pensione. Per questo motivo il datore di lavoro è costretto a restituire all’ente previdenziale i ratei pensionistici corrisposti da quest’ultimo nel periodo che va dal momento del licenziamento fino al raggiungimento dell’età pensionabile.

Collocamento a riposo, se torna a lavoro il datore deve ripagare la pensione: il caso

Stando a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 21879/2022, in caso di annullamento del collocamento a riposo di un lavoratore, nel frattempo andato in pensione, l‘azienda deve pagare all’ente previdenziale i ratei del trattamento pensionistico nel frattempo erogati.

Entrando nei dettagli bisogna sapere che con la sentenza di secondo grado la Corte d’Appello di Campobasso, accertata l’illegittimità del collocamento a riposo di un lavorato, ha condannato Poste Italiane a versare a titolo di risarcimento una somma corrispondente alla retribuzione dovuta dal giorno del licenziamento ingiusto fino al compimento del 65esimo anno di età

A questi bisogna poi aggiungere il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, previa decurtazione degli importi percepiti nello stesso periodo per i ratei di pensione.

 Allo stesso tempo il dipendente presentava un ulteriore ricorso al Tribunale di Campobasso, nei confronti dell’INPS. L’ente, a sua volta, richiedeva la restituzione dei ratei pensionistici nel frattempo erogati al lavoratore.

Azienda arricchita indebitamente grazie a un licenziamento ingiusto

Il Tribunale ha dato ragione al dipendente, sottolineando che quest’ultimo non era tenuto a corrispondere nulla. Da qui nasce il ricorso dell’istituto di previdenza, in seguito rigettato dalla Corte. Il motivo? L’Istituto Nazionale della previdenza sociale non si doveva rivolgere al lavoratore, bensì all’azienda.

Proprio quest’ultima, d’altronde, si è arricchita indebitamente attraverso un licenziamento ingiusto. La Cassazione ha quindi confermato questa linea, in base alla quale l’istituto di previdenza deve richiedere e ottenere i soldi in questione al datore di lavoro.