Un post su Facebook può costare il licenziamento? In alcuni casi si. La Corte di Cassazione, nella sentenza numero 13799 del 31 maggio 2017, ha chiarito che se si scrive un post contro il proprio datore di lavoro, che ne offende la reputazione e l’immagine dell’azienda, il licenziamento per giusta causa può esserci.

Nella sentenza, infatti, si spiega che esistendo un diritto di critica, se un dipendente pubblica su Facebook un post non diffamatorio, che non offende la reputazione del datore di lavoro e dell’azienda il licenziamento è illegittimo; solo se compromette la fama e il nome del datore di lavoro si può rischiare di perdere il posto di lavoro.

Se si posta su Facebook, quindi, una critica alla propria azienda o al proprio datore di lavoro che non sia diffamante, il licenziamento che potrebbe conseguirne sarebbe illegittimo poiché anche un dipendente ha il diritto di esprimere la propria opinione, anche se critica l’operato del principale.

Se il post è diffamatorio, invece, si configura la mancata fedeltà del lavoratore che è obbligato ad osservare verso l’azienda e il datore di lavoro, una fedeltà che valorizza il rapporto di fiducia che esiste tra dipendente e datore di lavoro.

Critiche su Facebook, quindi, verso la propria azienda e il proprio datore di lavoro possono essere pubblicate a patto che non siano offensive e non ledano l’immagine dell’azienda. Ma quando un post può essere considerato diffamatorio? A chiarirlo è la stessa Corte di Cassazione con un’altra sentenza: quando si lede l’immagine del datore di lavoro denigrando, magari, i servizi offerti dall’azienda, travalicando i confini del diritto di critica (ovvero la manifestazione libera del proprio pensiero) si parla di diffamazione. Per parlare di diffamazione, però, è necessario che i soggetti cui ci si riferisce siano individuabili (non serve la presenza di nome e cognome ma solo riferimenti palesi che ne rendano riconoscibile l’identità).

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