Non sempre la data di decorrenza della pensione coincide con quella di uscita dal lavoro. Il nostro ordinamento pensionistico prevede infatti delle finestre di uscita, soprattutto per le pensioni anticipate.

Andare in pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi (uno in meno per le donne) implica dover attendere tre mesi prima di vedersi accreditare il primo assegno. Finestra che si allunga a sei mesi per i dipendenti pubblici. Nel caso di opzione donna, addirittura, la finestra d’uscita si apre dopo 12 mesi dalla domanda di pensione (18 mesi se si tratta di lavoratrici autonome).

Il licenziamento prima della pensione

Insomma, dalla data di maturazione dei requisiti per andare in pensione (e quindi della domanda all’ente) alla effettiva liquidazione della rendita passa ancora del tempo. In questo frangente tutto può succedere se il lavoratore non cessa l’attività.

Potrebbe così succedere che il dipendente venga licenziato dal datore di lavoro, magari perché l’azienda entra in crisi o fallisce. Così come il lavoratore autonomo ceda l’attività o smetta di svolgere la propria professione a causa di imprevisti.

In questi casi cosa succede? Ebbene, una volta acquisito il diritto alla pensione e presentata domanda all’ente di previdenza che la accoglie, bisogna solo aspettare la decorrenza. Le finestre d’uscita non possono essere anticipate, né posticipate a causa di un evento imprevisto.

Il diritto non si perde

Il diritto alla pensione non si perde, ma capita a volte che si rimanga impantanati in una sorta di limbo dove si resta senza stipendio né pensione. Se il lavoratore è un dipendente di azienda privata avrà però diritto agli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, Naspi).

Ma se si tratta di un lavoratore autonomo o libero professionista, non ci sono ammortizzatori pubblici che tengano. A meno che il lavoratore non abbia una assicurazione privata che lo tuteli in caso di imprevisti.

Il problema vero e proprio, però, nasce quando la pensione è ancora lontana dal licenziamento. Cioè mancano anni alla maturazione del requisito anagrafico e contributivo e il datore di lavoro, magari, è entrato in crisi aziendale.

In questi casi ci sono gli ammortizzatori sociali, cioè la Cig, mobilità e Naspi. Tutti strumenti che però hanno una durata limitata nel tempo e non sempre sono in grado di colmare il vuoto che si crea fra licenziamento e domanda di pensione.