Da sempre il lavoro nero è stata un problema con cui lo Stato italiano ha dovuto fare i conti, già prima della pandemia. L’emergenza Covid, però, non ha fatto che peggiorare le cose da questo punto di vista. Con le attività bloccate, le aziende in crisi e il sistema previdenziale non sempre tempestivo nel garantire aiuti e sostegni ai lavoratori, moltissime sono state le persone che hanno dovuto in qualche modo arrangiarsi. Questo, per lo meno, è il quadro che è emerso anche dall’ultimo report reso noto dalla Cgia di Mestre, che ha fatto luce su un andamento al rialzo – e preoccupante – del lavoro irregolare in Italia.

Lavoro nero in “forte espansione”: il triste quadro italiano (pre e post pandemia)

Secondo l’Ufficio studi Cgia, il 2021 per il lavoro nero sarà “un anno d’oro”. Questo perché: “A seguito della pesantissima crisi economica in corso, l’esercito dei lavoratori in nero presente in Italia è in forte espansione”. La situazione a cui sta andando incontro il Paese, come è facile intuire, è quindi diretta conseguenza dell’emergenza sanitaria. Nell’ultimo anno, ha infatti ricordato l’Associazione, la crisi pandemica ha provocato una perdita di circa 450 mila posti di lavoro, ma non solo.

Le ultime restrizioni, come quelle conseguenti alla zona rossa estesa a tutte le Regioni a Pasqua e Pasquetta, non hanno poi gettato le basi per una potenziale ripresa, al contrario. Con le chiusure imposte nelle ultime settimane, di fatto, a tanti di questi disoccupati si sono aggiunti molti addetti del settore alberghiero e della ristorazione e altrettante parrucchiere ed estetiste (spesso improvvisate) che quotidianamente si recano nelle case degli italiani ad esercitare irregolarmente i servizi e le prestazioni più disparate.

Il numero non è quantificabile proprio perché si tratta di lavoratori irregolari, e quindi in qualche modo non tracciabili.

Se si pensa però che, secondo un sondaggio Istat fatto qualche anno fa, il numero dei lavoratori in nero in Italia ammontava a 3,2 milioni già prima della pandemia, allora forse si può avere una vaga percezione del problema.

Lavoro nero: quanto ci costano le chiusure della zona rossa

Dopo la chiusura di Pasqua, che ha comportato ingenti perdite in termini economici e di posti di lavoro, il sistema a colori delle Regioni non è di certo meno impattante, specie nel lungo termine. Nello specifico, per quelle zone dove negozi, bar, ristoranti e attività non essenziali continuano a rimanere chiuse – soprattutto se si trovano in territori già provati dalla crisi – non sono pochi i lavoratori che,  per necessità, si dedicano ad altre attività, anche temporanee.

Non a caso, si legge nel report di Cgia, “i camerieri, in attesa di tornare ad esercitare la propria professione, si stanno improvvisando edili,
dipintori, idraulici, giardinieri o addetti alle pulizie. Eseguono piccoli lavori pagati poco e in nero che, tuttavia, consentono a queste persone di portare a casa qualche decina di euro al giorno, permettendo così a molte famiglie di mettere assieme il pranzo con la cena”.

Basta pensare a quello che è successo nelle ultime settimane, quando – secondo la Cgia di Mestre – su tutto il territorio l’attività svolta da finti parrucchieri, estetisti e massaggiatori abusivi a seguito delle chiusure, soprattutto nella settimana di Pasqua, sono aumentate vertiginosamente.

Il problema della “concorrenza sleale”

Pur non potendo criminalizzare chi, in condizioni di necessità, ricorre ai rimedi, non si possono sottovalutare le conseguenze negative legate alla predominanza del lavoro nero su quello regolare. Non bisogna dimenticare, difatti, che chi opera completamente o parzialmente in nero spesso garantisce servizi e prezzi che chi pratica regolarmente, pagando tasse e contributi, non può permettersi.

Come riporta l’analisi Cgia: “Il dilagare del lavoro irregolare non comporta un danno solo alle casse dell’erario e dell’Inps, ma anche alle tantissime attività produttive e dei servizi, le imprese artigianali e quelle commerciali che, spesso, subiscono la concorrenza sleale di questi soggetti”.

Infatti: “I lavoratori in nero, infatti, non essendo sottoposti al prelievo previdenziale, a quello assicurativo e a quello fiscale consentono alle imprese dove prestano servizio – o a loro stessi, se operano sul mercato come falsi lavoratori autonomi – di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e, conseguentemente, di praticare un prezzo finale del prodotto/servizio molto contenuto. Condizioni, ovviamente, che chi rispetta le disposizioni previste dalla legge non è in grado di offrire”.

Inoltre, come è stato spiegato, non vanno nemmeno sottovalutate le condizioni lavorative a cui sono sottoposti gli irregolari. Sono, nella maggior parte dei casi, lavoratori a cui vengono negate le più elementari tutele previste dalla legge in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e in queste condizioni, gli incidenti e le malattie professionali rischiano di essere molto frequenti.

Crisi e boom di lavoro nero: le Regioni dove i dati preoccupano di più

Dai dati in possesso dell’Associazione Imprese e Artigiani, infine, è emerso che – ad oggi – ci sono delle zone che stanno soffrendo maggiormente la crisi rispetto ad altre. In particolare, sempre in riferimento al fenomeno del lavoro nero, a livello territoriale sono le Regioni del Mezzogiorno ad essere maggiormente interessate dall’abusivismo e dal lavoro nero.

Ora, secondo l’ultima stima redatta dell’Istat e relativa al 2018, in Calabria il tasso di irregolarità è pari al 22,1 per cento (136.200 irregolari), in Campania al 19,4 per cento (362.500 lavoratori in nero), in Sicilia al 18,7 per cento (283.700), in Puglia al 16,1 per cento (222.700) e in Sardegna del 15,7 per cento (95.500). Le situazioni più virtuose, come sottolineavamo più sopra, si registrano nel Nordest. I dati più preoccupanti, però, sono quelli relativi al 2021.

E, come se non bastasse, nel 2021 – specie nei prossimi mesi – la situazione è purtroppo destinata a peggiorare.

Se l’emergenza Covid già nel 2020 ha messo a dura prova il sistema economico, previdenziale e finanziario dell’intero Paese, con lo sblocco dei licenziamenti (previsti a fine giugno), secondo le previsioni Cgia, c’è il pericolo che il numero dei senza lavoro aumenti in misura importante.

Se le persone non riusciranno a trovare una nuova occupazione saranno costrette a optare per un lavoro irregolare o improvviseranno, ancora, altre attività “abusive” per integrare le magre o mancanti entrate familiari. È presumibile dunque – oltre che probabile – che i numeri relativi al lavoro nero peggioreranno, aggravando la situazione di quelle Regioni già in difficoltà.