Inutile negare che il lavoro in nero sia un modo per cercare di occultare redditi nelle cause di separazione. Chi lavora in nero ha diritto al mantenimento? Riportiamo di seguito la lettera di un utente dalla quale abbiamo eliminato riferimenti personali per questioni di privacy.

Buongiorno, da ormai quasi 3 anni vivo l’incubo di una separazione legale.
Non ho figli e con la mia ex moglie abbiamo la separazione dei beni.
Ho subito nel giudizio provvisorio l’obbligo di pagare 500€ al mese alla mia ex moglie, ho da subito fatto ricorso in appello e l’ho perso perché hanno confermato la sentenza nonché l’obbligo per me di pagare le spese dell’appello (più di 3000€).
Nonostante ho da subito indicato che la mia ex moglie lavorasse in nero ho dovuto assoldare un investigatore che lo dichiarasse attraverso una relazione, eppure il giudice non ha tenuto conto di tale relazione e ha confermato il provvedimento provvisorio. Attualmente ho consegnato anche la prova dell’acquisto di una casa all’asta da parte della mia ex moglie per tramite di una visura catastale ma nessuno ha preso atto nemmeno di questo. Inoltre la mia ex moglie gode anche del gratuito patrocinio.

Cosa devo fare?
Io mi alzo la mattina e vado al lavoro ma non riesco a produrre nulla, non sono attento e non ho nemmeno più voglia. sento disorientato e insicuro.
Mi aiuti per favore o mi indichi qualcuno che può aiutarmi.
Grazie.

Causa di Separazione e Divorzio: come si può dimostrare il lavoro in nero dell’ex moglie o marito?

In linea generale spetta al giudice valutare se vi sia una disparità economica fra i coniugi: nel farlo terrà conto non solo dei redditi dichiarati e della la situazione patrimoniale ma anche di eventuali entrate da lavoro irregolare.

Ma a chi spetta dimostrare il lavoro in nero? E anche quando viene dimostrato questo comporta in automatico la perdita del diritto al mantenimento oppure potrebbe confermare la situazione di precarietà e, quindi, il bisogno di assistenza economica?

Molti, come il nostro lettore, per dimostrare il lavoro in nero pensano subito ad incaricare un investigatore privato.

E’ bene sapere però che la relazione ha un valore indiziario. Più incisivo potrebbe essere se l’investigatore si rendesse disponibile a testimoniare di persona.

Proprio tenendo conto di un dato realistico, ovvero la diffusione del lavoro in nero nel nostro Paese, il legislatore ha concesso ai giudici il potere di disporre indagini tributarie dalle quali potrebbe emergere un accertamento fiscale. In queste cause i giudici potrebbero anche arrivare a presumere il reddito dell’interessato sulla base del tenore di vita da questi condotto: ad esempio dal possesso di un’auto di lusso, dalle dimensioni della casa in cui vive e dalle spese per utenze, vacanze, palestra o benessere e cene. Il Tribunale di Cagliari, peraltro richiamando quanto già anticipato dalle sezioni unite della Cassazione, ha confermato che anche lo stipendio da lavoro in nero contribuisce a incrementare le disponibilità reddituali della moglie, indipendentemente dal fatto che non vengano versati i relativi contributi previdenziali. Sulla base di questo assunto il giudice potrà negare o ridurre gli alimenti in presenza di un lavoro irregolare. Ricordiamo anche che il dipendente non denunciato all’ufficio del lavoro può agire in via giudiziaria per ottenere una formale assunzione e il versamento dei contributi non corrisposti, stabilizzando così la propria posizione lavorativa e il tutto godendo di gratuito patrocinio se lo stipendio (in nero) non supera i mille euro circa al mese. Aggiungiamo che se l’ex moglie è ancora giovane e ha capacità fisiche e di salute di inserimento nel mondo del lavoro, il mantenimento può essere negato ab origine.

Spetta all’ex moglie, se vuole il mantenimento, dimostrare di non essere  – e non per sua colpa – autosufficiente. La sentenza sopra citata riporta nel dispositivo che: “in tema di separazione personale se è vero che l’onere della prova del diritto al mantenimento spetta in via generale a chi lo chiede (e, quindi, nel nostro caso, alla moglie) il giudice può comunque ricorrere a indizi (o meglio dette “presunzioni”) per valutare le effettive capacità del soggetto di inserirsi nel mondo del lavoro avendo presenti le reali condizioni del mercato, anche alla luce dell’età, del grado di istruzione e delle pregresse esperienze lavorative. La valutazione non deve essere astratta ma effettuata considerando ogni concreto fattore individuale e ambientale: conta soltanto se chi chiede il mantenimento possieda utilità o capacità suscettibili di valutazione economica, dunque l’attitudine a svolgere un’attività produttiva retribuita”.

In conclusione, secondo l’interpretazione dominante, la disponibilità di un lavoro in nero va considerata come prova di una reale capacità economica e può comportare la negazione o la perdita dell’assegno di mantenimento o dell’assegno divorzile. Non solo: in alcuni casi il giudice può arrivare a chiedere l’intervento della polizia tributaria, in quanto il lavoro nero non vale solo come prova per il diritto o il calcolo dell’assegno di mantenimento, ma costituisce anche reato di evasione fiscale.

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