Le dimissioni volontarie sono in forte aumento in Italia. Un fenomeno che non fa parte del nostro mercato del lavoro, ma è più caratteristico del mondo anglosassone e, in particolare, americano. Cosa sta succedendo?

Fatto alquanto anomalo per il nostro Paese, abituato al posto fisso e al lavoro sicuro. Ma che ultimamente, soprattutto dopo la pandemia e con lo stimolo del governo, sta cambiando. I giovani sono i più coinvolti. Vediamo perché.

Dimissioni volontarie in aumento

Secondo uno studio della Cisl Veneto, basato sui dati di Veneto Lavoro, le dimissioni volontarie sono cresciute del 50% nel primo quadrimestre del 2022 rispetto allo stesso periodo del 2021.

Un tendenza che accomuna anche le altre regioni del Nord.

La causa principale è da imputare alla retribuzione e alla competitività. I giovani lavoratori, dopo aver acquisiti sufficienti esperienze, vanno alla ricerca di nuovi stimoli e stipendi più alti. Le aziende, d’altro canto, sono alla continua ricerca di personale qualificato e con esperienza e sono disposte a pagare di più.

Una questione di domanda e offerta, niente di più. Ma è quella che è mancata da molti anni in Italia. E con l’avvento di nuove professioni soprattutto in campo tecnologico, tecnico, sanitario e grazie allo stimolo dei bonus edilizi, la concorrenza non manca di farsi sentire.

Dove, invece, nulla è cambiato è nel campo amministrativo e dei servizi in generale, dove la dinamicità del lavoro e del ricambio è rimasta ferma a prima dello scoppio della pandemia. Con evidenti segnali di staticità.

Chi sono i giovani che cambiano lavoro

Così a cambiare lavoro sono soprattutto i giovani, maschi, under 30, in possesso di diploma, e qualche volta anche di laurea. Lavoratori con contratto a tempo indeterminato, occupati in buona misura con mansioni a basso contenuto professionale. Nella maggior parte dei casi provenienti dai settori del commercio, turismo e servizi e di frequente in spostamento verso altri settori.

Più “sedentarie”, invece, le donne che preferiscono fermarsi al primo impiego.

 “Per il 30% si tratti di giovani con meno di 30 anni – osserva la Cisl – il fenomeno può essere spiegato da una minore attrazione verso il posto fisso sentita in questa fase della vita e da una maggiore disposizione a cambiare lavoro per cogliere nuove opportunità professionali”.

Nella maggior parte dei casi i lavoratori accettano di cambiare datore di lavoro pur svolgendo la stessa mansione nello stesso settore, ma con un livello di retribuzione più alto. In altri casi, invece, si cambia del tutto settore di impiego.