Un lavoratore dipendente può esercitare un’attività di lavoro autonomo occasionale se l’attività esula dal rapporto subordinato. Immaginiamo un avvocato che organizza matrimoni o un commercialista che fa consulenza marketing.

La domanda da porsi è: l’attività occasionale esula da quella professionale o imprenditoriale svolta abitualmente?

Un lettore ci scrive:

“Ho letto il suo articolo e volevo esporle il mio dubbio: ho da poco concluso un colloquio di lavoro in cui mi è stata chiesta l’apertura della Partita IVA. Mi chiedevo anche perché, per il periodo di prova, mi sia stato proposto un contratto di prestazione occasionale… Essendo il mio compito puramente relativo alla segreteria, non riesco a capire il perché di questa richiesta”.

Se l’attività occasionale esula da quella professionale bisognerà emettere una ricevuta per prestazione occasionale.

Se, invece, è legata all’attività abituale occorrerà fatturare la prestazione con partita IVA.

Quindi, un soggetto dotato di partita IVA può emettere ricevute per prestazione occasionale diversa dall’attività abituale. Che succede in caso di periodo di prova?

Lavoro a partita IVA e occasionale: che differenza c’è?

Il lavoro professionale con Partita IVA è caratterizzato da attività abituale ed organizzata. Al contrario il lavoro occasionale, come suggerisce il nome, non è abituale né organizzato.

Se il dipendente di un’azienda informatica svolge ogni tanto consulenza informatica non si tratta di attività professionale bensì occasionale. Se invece apre uno studio professionale, invece, anche la prestazione saltuaria di tipo informatico rientra nel lavoro professionale con partita IVA.

Bisogna, in sintesi, verificare l’ambito di applicazione dell’attività occasionale rispetto all’attività professionale. Se si tratta di lavoro occasionale che non rientra nel campo di applicazione IVA, basterà emettere una semplice ricevuta con ritenuta d’acconto del 20%.

Se il lavoro autonomo occasionale è affine o complementare all’attività principale si dovrà usare la partita IVA.

Prestazione occasionale, partita IVA e periodo di prova: che succede?

Per lavoro occasionale deve intendersi non solo un’attività diversa da quella professionale per cui è stata aperta la partita IVA ma anche non ripetitiva nel tempo (magari a distanza di mesi).

Il contratto di prestazione occasionale senza partita IVA prevede una mansione saltuaria, sporadica, senza vincolo di subordinazione e non è prevista l’apertura della partita IVA.

Generalmente, la durata della prestazione occasionale non supera i 30 giorni all’anno ed il costo della prestazione non supera i 5mila euro lordi.

Per legge, non si può stipulare un contratto di prestazione occasionale quando è già in corso un periodo di lavoro subordinato o di collaborazione continuativa nei 6 mesi precedenti.

Nel caso del lettore, la questione non è tanto se la prestazione occasionale superi o meno i 5mila euro nel periodo di prova quanto il fatto che si tratta di un periodo di prova legato ad un rapporto subordinato e continuativo, coordinato, organizzato, abituale, non compatibile neanche con la partita IVA. Il lavoratore risulterebbe autonomo pur svolgendo un lavoro abituale e subordinato (di segreteria per un’azienda). In più, il lavoratore dovrà fare i conti con la dichiarazione dei redditi, i contributi (INPS e INAIL).

Del resto, se il periodo di prova supera i 30 giorni non può ritenersi lavoro occasionale. Riguardo all’apertura della partita IVA, non è corretto richiederla per un periodo di prova in quanto riferito ad un rapporto subordinato e continuativo di breve durata. Se dopo il periodo di prova l’azienda accettasse di assumere, la partita IVA per un lavoro di segreteria non sarebbe compatibile.