La spesa per le pensioni ha raggiunto la cifra di 312 miliardi di euro nel 2021. Si tratta del 17% del Pil con una previsione di salita fino al 18,7% entro il 2035 quando andrà a regime il sistema di calcolo contributivo.

Quel che più preoccupa, però, è che dal 2023, con una inflazione prevista all’8%, occorrerà stanziare altri 23-24 miliardi di euro per rivalutare 16 milioni di assegni e prestazioni previdenziali di natura pensionistica. Lo dice il presidente dell’Inps Pasquale Tridico presentando i dati aggiornati sulle pensioni al 31 dicembre 2021 alla Camera.

Riforma pensioni difficile

Numeri che non lasciano il benché minimo spazio a una riforma che abbassi l’età pensionabile rispetto ai requisiti Fornero. Niente Quota 41 e nemmeno pensione anticipata a 62 anni. Scordiamocelo, anche se sindacati e Lega puntano i piedi pensando di essere già in campagna elettorale.

Pena il dissesto finanziario dell’Inps. Peraltro già previsto dai suoi manager. Tenendo conto della previsioni demografiche dell’Istat e di quelle contenute nei documenti di finanza pubblica, il rischio è di arrivare a fine 2029 con un patrimonio netto negativo di 92 miliardi di euro. Cioè default.

Per questo motivo occorre prestare la massima attenzione a fare altre riforme pensioni che anticipino di troppo l’uscita dal lavoro. Come è stata quella di Quota 100. Lo stesso dicasi per i bonus contributivi elargiti finora con troppa facilità per incentivare l’occupazione o per mitigare l’impatto della pandemia sulle aziende.

Le vie d’uscita suggerite dall’Inps

L’Inps suggerisce tre vie d’uscita per una riforma finanziariamente sostenibile, in attesa che riprenda il confronto fra governo e sindacati. La prima poggia sull’uscita a 64 anni di età e almeno 35 di contributi con il ricalcolo interamente contributivo della pensione. Ma a condizione che l’importo della rendita sia pari ad almeno 2,2 volte il valore dell’assegno sociale (468,11 euro al mese). Il costo iniziale sarebbe di quasi 900 milioni nel 2023 per poi salire a 2 miliardi nel 2024 e a oltre 3,7 miliardi nel 2029

La seconda via d’uscita, proposta dall’economista Michele Raitano, prevede una penalizzazione del 3% della pensione sulla quota retributiva per ogni anni di anticipo rispetto ai 67 anni della vecchiaia.

Anche qui si partirebbe da 64 anni con almeno 35 anni di contributi a condizione di aver maturato un assegno pensionistico pari ad almeno 2,2 volte l’assegno sociale. Costo: 1 miliardo nel 2023 per poi salire a 2,3 miliardi nel 2024 e arrivare a oltre 5 miliardi nel 2029.

La terza strada, che è anche la più economica e flessibile, è la proposta Tridico. Una pensione in due tranches con uscita a 63 anni e almeno 20 di contributi per la sola parte contributiva maturata. A cui si aggiungerebbe la restante fetta retributiva della pensione al raggiungimento dei 67 anni di età. In questo caso la spesa sarebbe di 500 milioni nel 2023,  salirebbe a 1,5 miliardi nel 2024 per terminare a 2,5 miliardi nel 2029.