In Italia il congedo mestruale non è ancora riconosciuto: quattro anni fa una proposta di legge era stata vicina ad introdurlo ma alla fine non si è concretizzata. E nel mondo lavorativo italiano non esiste ancora alcuna forma di tutela per le donne con ciclo doloroso, in particolare per quelle che soffrono di endometriosi. E’ una delle discriminazione di genere che ancora permane senza essere minimamente intaccata. Dall’estero invece, qualche iniziativa privata inizia a far ben sperare in un’evoluzione nel riconoscimento del diritto al congedo mestruale.
L’ultima in ordine cronologico è stata l’azienda Zomato: il colosso, operante nel settore della food economy, ha riconosciuto il diritto al permesso retribuito per dismenorrea. La notizia ha fatto rumore anche perché Zomato ha sedi in 24 Paesi in tutto il mondo. L’azienda indiana ha riconosciuto alle dipendenti donne e transgender 10 giorni di permesso l’anno nel caso in cui si soffra di ciclo doloroso (10 sono una media che tiene conto della possibilità che il ciclo possa capitare nel week end e che i giorni più dolorosi che impediscono di recarsi in ufficio di norma non sono più di uno per ciclo). Stupisce che una simile “rivoluzione” giunga dall’India, in cui ancora oggi alcuni argomenti sono tabù. E invece la presentazione del congedo parla proprio di libertà: “dovresti sentirti libera di dire o scrivere ai colleghi che quel giorno sei in congedo mestruale”, si legge nel comunicato dell’innovativo manager. Come prenderanno l’idea i colleghi uomini? Il comunicato Zomato si chiude con una nota che invita ad uno sforzo di empatia: Una nota per gli uomini: le nostre colleghe che chiedono il congedo mestruale non dovrebbero essere considerate un problema. Le mestruazioni fanno  parte della vita e, sebbene non possiamo comprendere appieno ciò che le donne provano in quei giorni, dobbiamo fidarci di loro quando dicono che hanno bisogno di fermarsi. So che i crampi mestruali sono molto dolorosi per molte donne e dobbiamo supportarle se vogliamo costruire una cultura veramente collaborativa nella nostra azienda“.
Prima di Zomato anche la Nike ha introdotto il congedo mestruale per le dipendenti donne (nel 2007). E dal 2016 anche l’aziende inglese Coexist.

Congedo mestruale: il punto della legge in Italia

Ritorniamo in conclusione alla situazione italiana per cercare di capire se ci sono margini di evoluzione. L’ultima proposta di legge, come accennato, risale al 2016. A presentarla alla Camera furono i deputati Mura, Sbrollini, Iacono, Rubinato, partendo da un’analisi dei dati sulla dismenorrea: “dal 60 per cento al 90 per cento delle donne soffrono durante il ciclo mestruale e questo causa tassi dal 13 per cento al 51 per cento di assenteismo a scuola e dal 5 per cento al 15 per cento di assenteismo nel lavoro. Per questa ragione alcune associazioni per i diritti delle donne nel mondo del lavoro in Italia, dopo l’apertura di un dibattito in questa direzione negli Stati Uniti d’America, stanno lavorando da tempo a una bozza di proposta di legge per istituire un «congedo mestruale» che permetta alle donne di rimanere a casa nei giorni di picco del ciclo…”. 
Dunque da noi non esiste, ad oggi, alcuna legge che riconosce il diritto al congedo mestruale. Ma non siamo il fanalino di cosa a livello statale perché non c’è una simile tutela in nessun Paese europeo (esiste invece il permesso per congedo mestruale in Paesi come Giappone, tra i primi ad introdurlo nel lontano 1947, e, dal 2015, anche in Zambia). Le iniziative a cui abbiamo fatto riferimento sopra sono tutte di tipo privato. Bisogna essere fortunate nel capitare nell’azienda “giusta”. E’ chiaro come questa non sia una situazione ammissibile nel 2020 in cui la medicina ha comprovato le sindromi di dismenorrea (ciclo mestruale doloroso) e endometriosi.
Almeno in questi casi servirebbe un piano omogeneo che riconoscesse a tutte le lavoratrici di assentarsi da lavoro quando hanno il ciclo, indipendentemente dall’azienda in cui sono impiegate.
Molto ancora c’è da fare per l’equiparazione delle donne sul lavoro ai colleghi uomini: dal livellamento degli stipendi (visto che il gap salariale di genere mostra forti diseguaglianze anacronistiche) alla detassazione di prodotti per l’igiene intima femminile come gli assorbenti (non solo quelli biodegradabili e compostabili che rappresentano una minima parte).