Andare in pensione e continuare a lavorare. Qualcuno può trovare assurda questa cosa, ma effettivamente non sono pochi i pensionati che si sentono ancora in grado di lavorare. Magari non coi ritmi di prima o con assunzioni in pianta stabile. Ma non è assolutamente una cosa certa che chi va in pensione debba per forza di cose mettersi a riposo. E allora ecco che bisogna verificare se la pensione raggiunta e la misura con cui un lavoratore ha lasciato la carriera, offra possibilità di lavorare.

Perché ci sono misure che non lo consentono. In alcuni casi perché il trattamento dell’INPS è collegato ai redditi del beneficiario e lavorare porterebbe ad un incremento di questi redditi a tal punto da mettere a repentaglio lo stesso trattamento ricevuto dall’INPS. Ma in altri casi perché non lo consente proprio la misura.

Le domande dei nostri lettori

“Buonasera, sono un titolare di pensione sociale con un assegno da 500 euro circa al mese. Naturalmente capirete che è poco per poter andare avanti nella vita di tutti i giorni. Stavo pensando però di iniziare a lavorare, in modo tale da arrotondare quel poco che l’INPS mi da. Ma credo che alla fine potrei avere problemi con la mia pensione, perché è collegata al reddito. Non è che se inizio a lavorare perdo una parete o l’intera pensione? Non vorrei fare il classico gioco delle tre carte.”

Salve, sto per completare finalmente i 41 anni di contributi. I calcoli del mio sindacato hanno fissato nel mese di giugno questo completamento della carriera. Ed a 64 anni di età compiuti oggi, ho deciso di andare in pensione, ma vorrei anche continuare a lavorare, magari per qualche periodo dell’anno. Infatti ho sempre lavorato nel settore alberghiero e visto che mia moglie andrà a lavorare questa estate in Romagna, a questo punto me ne vado pure io.

Secondo voi posso?”

L’assegno sociale e i redditi da non superare per non influire in negativo sulla pensione

Il primo quesito fa confusione nel senso che parla dell’assegno sociale quasi fosse una pensione normale. Invece è un trattamento assistenziale che viene erogato senza alcun collegamento alla contribuzione versata. E viene erogata soprattutto perché il richiedente e beneficiario della misura, ha una situazione economica non rosea. Il collegamento dell’assegno sociale coi redditi di un beneficiario mette quanti vogliono continuare a lavorare dopo essere riusciti ad ottenere il trattamento, di fronte ad un autentico bivio. Conviene “accontentarsi” dell’assegno sociale o continuare a lavorare? E se la scelta è per la seconda ipotesi, che rischi ci sono di perdere l’assegno sociale? Domande queste comuni a molti titolari del trattamento, compresa la lettrice del primo quesito. Ed i suoi dubbi effettivamente sono più che leciti.

L’assegno sociale, di cosa si tratta per davvero?

Prima di tutto dobbiamo andare a capire bene cos’è l’assegno sociale e perché viene assegnato ad un beneficiario. E non c’è nulla di meglio che usare ciò che l’INPS scrive sul suo portale ufficiale per capire bene la misura. L’assegno sociale è una prestazione economica, erogata a domanda, dedicata ai cittadini italiani e stranieri in condizioni economiche disagiate e con redditi inferiori alle soglie previste annualmente dalla legge. Questo significa che la misura riguarda soggetti che hanno delle difficoltà economiche e determinati limiti di reddito. I requisiti che un soggetto deve avere per godere del trattamento sono:

  • Avere 67 anni di età (dal 1° gennaio 2019);
  • Versare in uno stato di bisogno economico;
  • Avere la cittadinanza italiana o una equivalente;
  • Risiedere effettivamente sul territorio italiano da almeno 10 anni.
  • Il requisito della condizione economica precaria per l’assegno sociale.

Cosa significa condizione economica o reddituale precaria?

Senza dubbi tra i requisiti prima citati quello che più di qualche dubbio lascia è quello della precaria situazione economica.

Cosa significa e in che genere di situazione il richiedente l’assegno sociale deve vivere? Bisogna partire dall’importo dell’assegno sociale per capire quali sono i calcoli che l‘INPS utilizza per determinare quale è la condizione di disagio reddituale ed economico che può portare un contribuente a rischiare di essere escluso dal beneficio della misura.

Per il 2023, dopo il canonico aggiornamento degli importi dei trattamenti all’indice dei prezzi al consumo (inflazione ndr), l’importo dell’assegno sociale che l’INPS eroga ai beneficiari per 13 mensilità è pari a 503,27 euro. Ma per averne diritto il diretto interessato non deve avere redditi superiori a 6.542,41 euro annui. Se si tratta di soggetto coniugato tale limite sale a 13.085,02 euro annui.

Guida al calcolo dell’assegno sociale, tra importo ridotto e intero della pensione

Come è evidente, come altri redditi oltre all’assegno, non bisogna superare il valore annuo dell’assegno stesso. Ma per averlo intero, i redditi del diretto interessato devono essere pari a zero. Mentre per i coniugati, il reddito non deve superare 503,27 euro al mese. Infatti per chi, single, ha altri redditi propri, o per chi, coniugato, ha redditi mensili superiori all’importo dell’assegno, ciò che si prende è ridotto. In pratica assegno sociale ridotto e non intero.

Come si legge sul sito dell’INPS infatti, hanno diritto all’assegno in misura intera i soggetti non coniugati che non possiedono alcun reddito e i soggetti coniugati che hanno un reddito familiare inferiore al totale annuo dell’assegno. Mentre hanno diritto alla prestazione ridotta i single con reddito sopra lo zero ma inferiore all’importo annuo dell’assegno. Ed i soggetti coniugati che hanno un reddito familiare compreso tra l’ammontare annuo dell’assegno e il doppio dell’importo annuo dell’assegno.

Perché a volte non conviene lavorare se si prende la pensione

Evidente che ci sia una sorta di rischio a lavorare mentre si è beneficiari dell’assegno sociale.

Infatti ogni anno i titolari di prestazioni collegate al reddito, come lo è proprio l’assegno sociale, devono comunicare i propri redditi all’INPS. Ed il motivo è proprio quello di consentire all’Istituto di determinare il diritto alla prestazione o l’ammontare della stessa. E se il lavoro che si svolge da pensionato con assegno sociale porta a superare le soglie prima indicate, l’assegno sociale nella migliore delle ipotesi verrà ridotto di importo. Con il concreto rischio che tutto venga perduto. Un lavoro che rischia di essere controproducente.

La quota 103 come le altre misure che l’anno preceduta sul divieto di lavorare

Nessun rischio di vedersi tagliare la prestazione per un pensionato da quota 103 che decide di lavorare. Infatti per questi soggetti non c’è questo rischio dal momento che lavorare mentre si prende la pensione di quota 103, non è ammesso. Infatti come anche per le vecchie quota 100 e quota 102, anche per la nuova quota 103 c’è il divieto di cumulare i redditi da pensione con i redditi da lavoro. Unica eccezione è il lavoro autonomo occasionale fino al tetto massimo di 5.000 euro annui.

Il nostro secondo lettore quindi, se intende farsi assumere da una struttura alberghiera o ricettiva in genere, rischia seriamente di perdere non una parte, ma tutta le pensione di quota 103. Questo vincolo dura per tutti gli anni di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia ordinaria. E quindi, solo al raggiungimento dei 67 anni di età l’interessato potrà tornare a lavorare. Il nostro lettore che a giugno dovrebbe andare in pensione con quota 103, ma a 64 anni, non potrà disattendere questa regola.