La pensione a 62 anni? Sì può fare, ma l’assegno sarà magro e striminzito per chi decide di lasciare il lavoro prima del tempo. E’ questa la nuova frontiera della riforma pensione a cui sta lavorando il governo. E il 14 ottobre sapremo qualcosa di più preciso.

La ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ha infatti convocato le parti sociali al ministero per illustrare i punti cardine su cui ruota la riforma pensioni 2021. Posto che quota 100 (in pensione a 62 anni di età con 38 di contributi) resterà in vigore fino al 31 dicembre 2021, resta da capire cosa succederà dopo.

Il rischio è uno scalone di cinque anni con i requisiti previsti dalla riforma Fornero.

Riforma sul tavolo del ministero del Lavoro

Sul tavolo del ministero è già pronto il piano di riforma. La base del consenso popolare è stata abilmente creata ad arte dai media e dal governo Conte. Da un lato quota 100 è stata messa in croce come se fosse stato un disastro (è vero solo il contrario). Dall’altro ci ha pensato la Corte dei Conti e l’Inps a terrorizzare i contribuenti dicendoci che non ci sono più soldi per sostenere la spesa previdenziale pubblica.

Mettendo sotto accusa il calcolo previsto dal sistema retributivo, la strada pare ormai tracciata. Dal 2022 le pensioni anticipate saranno calcolate solo col sistema contributivo e quindi tagliate. Inutile giraci troppo intorno: non ci sono più soldi per sostenere la spesa. I sindacati lo sanno e i lavoratori prossimi alla pensione avranno una duplice scelta. Andare in pensione anticipata con meno soldi rispetto ai requisiti previsti per la vecchiaia o attendere il compimento dei 67 anni di età per uomini e donne indistintamente.

Pensioni: quota 100 verso il tramonto

La cosa certa è quindi che quota 100, così com’è, andrà ad esaurirsi nel 2021. Ma non è detto che non verrà riproposta con i dovuti accorgimenti. In sostanza, l’Italia si dovrà adeguare ai meccanismi dei pensionamenti anticipati previsti in Germania, Austria, Svizzera e altri Paesi dell’Unione Europea che prevedono una penalizzazione.

In pratica, il pensionamento anticipato sarà concesso solo se si sarà disposti a rinunciare a una fetta di pensione.

Il che, per l’Italia, non significherà mettere i lavoratori in condizioni di rimetterci qualcosa, ma di non più ottenere dallo Stato aiuti economici. Quota 100 potrebbe quindi essere riproposta sul modello di “opzione donna” – secondo gli esperti – vale a dire con sistema di calcolo esclusivamente contributivo. Il lavoratore se vorrà anticipare l’uscita dal lavoro rispetto ai requisiti di vecchiaia dovrà accettare la migrazione dei contributi versati prima del 1996 nel sistema contributivo. Ne deriverà una penalizzazione commisurata con gli anni di lavoro effettuati prima di tale data.

Il sistema di calcolo della pensione anticipata

L’impianto della riforma così concepito avrebbe il merito di consentire il pensionamento anticipato per tutti ma con penalizzazione. Il taglio dell’assegno, per chi ha molti anni di lavoro prima del 1996, potrebbe anche arrivare al 25% rispetto a una normale liquidazione col sistema mista (retributivo + contributivo).

Tutto dipenderà da quanti anni di versamenti ante 1996 un lavoratore potrà far valere. Certo è che col passare degli anni la penalizzazione derivante da questa forma di pensionamento anticipato diminuirebbe, visto il sistema di calcolo contributivo puro andrà a pieno regime nel 2036 e più ci si avvicina a tale data, meno saranno i contributi dei lavoratori che “pesano” nel sistema di calcolo retributivo.

Sicché, per farla semplice, se oggi la penalizzazione potrebbe arrivare anche al 25% dell’assegno, fra qualche anno sarà molto meno. In questo modo – sostengono gli esperti di previdenza – si scoraggia il pensionamento anticipato nel breve periodo, mentre lo si incoraggia nel lungo periodo, cosa che tornerebbe più che utile alle casse dello Stato.