Uno degli effetti della pandemia è stato quello che ha visto gli italiani chiedere maggiore protezione, assistenza e sanità privata. Un desiderio che nasce soprattutto dalla risposta inadeguata e insufficiente del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). In altre parole, la sanità pubblica funziona male.

Detto così, sembrerebbe un problema dello Stato. Ma, a ben guardare, ci sono interessi economici che spingono (e non da quando è scoppiata la pandemia) verso la sanità privata. Come negli USA, dove chi può permetterselo viene assistito, chi non può viene abbandonato a se stesso e alle cure di secondo ordine.

Sanità privata come soluzione a tutti i mali?

Fa specie pensarlo soprattutto in Italia, patria del welfare e della sanità pubblica. Ma il Paese è stato messo in condizioni di funzionare male da questo punto di vista. Con la complicità dei media e di una buona fetta della classe politica, non solo centrale, ma anche regionale.

Così salta fuori che – secondo una ricerca condotta da Intesa San Paolo, dal titolo “Rapporto sulla sanità pubblica, privata e intermediata-oltre il Covid-19, un secondo pilastro per la protezione della salute“, due italiani su tre avrebbero mostrano una forte preoccupazione per la protezione della propria salute a causa della pandemia. 

Gli italiani chiedono più protezione

Di conseguenza, il 90,8% degli italiani chiede maggiore protezione in caso di nuova emergenza sanitaria. E oltre 1 su 3 dei cittadini sarebbe interessato a rispondere a questa esigenza attraverso una polizza sanitaria. Polizza che naturalmente verrebbe venduta banche e assicurazioni.

Ma cosa significa in concreto disporre di una polizza sanitaria privata? Saltare la fila? Ottenere assistenza e accessibilità alle cure prima del tempo? Se il problema è questo, l’inefficienza del SSN va ricercata nell’aspetto burocratico e amministrativo che in Italia notoriamente soffoca ogni cosa. Oltre che nella politica becera fatta di tagli a personale e posti letto.

Si tratta – dice Marco Vecchietti, Amministratore delegato e Direttore generale di Intesa Sanpaolo Rbm Salute – di un problema organizzativo di disponibilità di cura attraverso quei circuiti che il settore assicurativo da tempo mette a disposizione come complemento fondamentale delle polizze sanitarie“.

Quindi in realtà è la disponibilità di un circuito alternativo di strutture sanitarie, di percorsi di cura l’elemento che in qualche modo è diventato di interesse fondamentale. Più che il fatto di avere, attraverso l’assicurazione, solo ed esclusivamente il rimborso di quelle cure che devono essere effettuate presso le strutture private. Perché rispetto a questo bisogno gli italiani per anni hanno preferito far fronte con la cosiddetta scommessa in proprio“.

Emergenza e sanità pubblica

Alla luce dei fatti, di fronte all’emergenza sanitaria, lo Stato si è dimostrato impreparato. Sia durante la prima che durante la seconda ondata. Questo problema, però, è sempre dovuto all’inefficienza organizzativa, amministrativa e burocratica che, in questo caso, ha interessato la salute dei cittadini.

Difficile immaginare che il privato possa dare una risposta adeguata alla soluzione del problema. Eppure dall’indagine Intesa Sanpaolo Rbm Salute – Censis è emerso che c’è stato un incremento del 50%, rispetto alla stessa rilevazione effettuata nel 2019, del numero di cittadini che si sono dichiarati disponibili, a breve, a sottoscrivere una polizza sanitaria.

Questo testimonia ancora una volta – dice Vecchietti – che non è tanto la disponibilità economica aggiuntiva che il cittadino sta ricercando, ma la maggior protezione in campo sanitario. Quindi, un percorso di cura alternativo, la possibilità di fronte al bisogno di avere una risposta più personalizzata, magari con strumenti e percorsi di telemedicina, di teleassistenza, la possibilità di non rimanere da solo, di non discontinuare il proprio percorso di gestione delle cure croniche“.

Il Recovery Fund

Risorse adeguate in questo senso potrebbero arrivare dal Recovery Fund. Resta da capire chi e come le gestirà.

Se per interessi generali e quindi i soldi saranno destinati alla sanità pubblica o per interessi di parte e quindi i soldi finiranno nelle tasche di banche e assicurazioni.

Del resto, cambiare in meglio il SSN non significa necessariamente spingere i cittadini verso polizze assicurative, alternative a quanto già si spende per la sanità pubblica. Al limite è necessario che i fondi siano impiegati meglio e spesi nella direzione giusta. Ma di questi si discute da decenni e poco è cambiato. Col rischio che alla prossima emergenza sanitaria ci ritroveremo di nuovi impreparati.

Ecco quindi che dal VII Rapporto Rbm-Censis non può che emergere un messaggio chiaro e dissenziente verso la sanità pubblica. A tutto beneficio di chi dovrà proporre e vendere polizze sanitarie integrative. Per avere lo stesso servizio sanitario accessibile in minor tempo. Del resto nelle cliniche private chi troviamo? Gli stessi medici che lavorano o hanno lavorato per le strutture pubbliche.