In caso di licenziamento del lavoratore, il Jobs Act prevede tre fattispecie di conciliazione diverse: facoltativa, preventiva (nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo) e a “tutele crescenti”. Questa guida per dipendenti e datore di lavoro permette di coglierne le differenze sostanziali. Le tre ipotesi infatti si basano su presupposti diversi. Nelle prossime pagine analizzeremo singolarmente la conciliazione facoltativa, quella preventiva e, infine, quella nuova a “tutele crescenti” per capire quando e in che modo è possibile ricorrere a questi strumenti e quali sono i vantaggi.

Si tratta, come si può facilmente intuire, di una guida utile sia per i datori di lavoro che per i lavoratori a rischio licenziamento perché permette di prendere coscienza dei propri diritti. Rispetto a qualche anno fa infatti alcune cose sono cambiate in modo sostanziale: la conciliazione è diventata in linea generale facoltativa ma può avere anche scopo preventivo in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Rispetto al contratto a tempo indeterminato la tutela del lavoratore è diventata più elastica. Scopri come è cambiato il licenziamento con il Jobs Act: guida

Conciliazione facoltativa: i motivi che autorizzano il licenziamento

Fino a cinque anni fa la conciliazione era propedeutica al ricorso in tribunale. La Legge n. 183/2010 (Collegato Lavoro) ha cambiato le carte in tavola. Oggi, in caso di controversia individuale, le parti hanno la facoltà di rivolgersi o meno al giudice qualora la vertenza abbia come oggetto

  • impugnazione del licenziamento;
  • pretesa della retribuzione in sospeso;
  • costituzione del rapporto di lavoro;
  • violazione del dovere di fedeltà al datore di lavoro;
  • risarcimento danni;
  • violazione del patto di non concorrenza;
  • violazione degli obblighi di sicurezza e di igiene sul posto di lavoro;
  • modalità illegittime di ricorso al diritto di sciopero.

Nella domanda per la conciliazione facoltativa presentata alla Segreteria delle Commissioni provinciali, il proponente (sia esso il lavoratore o il datore di lavoro, dovrà indicare:

  • generalità delle parti;
  • luogo della conciliazione;
  • indirizzo per le comunicazioni;
  • descrizione dei fatti;
  • argomentazioni che li sostengono.

Qualora i dati inseriti siano giudicati insufficienti dai funzionari della DPL, andranno integrati. La controparte ha 20 giorni di tempo dalla richiesta o dalla ricezione dell’istanza al convenuto, per depositare le proprie memorie ed eventuali quesiti in via riconvenzionale. Nei seguenti 10 giorni, i funzionari della DPL provvederanno a convocare le parti dinanzi alla commissione o sottocommissione di conciliazione. Il termine per lo svolgimento del tentativo di conciliazione è fissato a 30 giorni dalla convocazione. Se si arriva alla conciliazione, anche solo parziale, viene redatto un verbale sottoscritto dalle parti e il giudice del lavoro che rende esecutivo il decreto. In caso contrario è la commissione a proporre alle parti una proposta conciliativa.

Conciliazione preventiva prima del licenziamento

La Legge Fornero ha imposto ad alcuni datori di lavoro la via della conciliazione preventiva prima del licenziamento. L’articolo 7 della legge 604/1966 è stato quindi modificato con l’inserimento di questo strumento nel caso in cui l’azienda abbia più di 15 dipendenti nella singola unità produttiva o nell’ambito comunale o più di 60 nell’ambito nazionale. Il tentativo di accordo tra le parti rappresenta in queste circostanze un presupposto di procedibilità per non incorrere nella pronuncia di illegittimità dell’intimazione del licenziamento. L’iter della conciliazione preventiva prevede che il datore di lavoro invii invia alla DTL una comunicazione in cui dichiara l’intenzione di procedere al licenziamento, specificando le ragioni e eventuali misure di assistenza per la ricollocazione del lavoratore. La DTL avrà 7 giorni di tempo per convocare le parti: alla scadenza del termine senza che nulla sia pervenuto, il datore di lavoro può procedere con il licenziamento. L’incontro delle parti si svolge dinanzi alla Commissione di Conciliazione: la procedura deve giungere a termine entro 20 giorni a meno che le parti, di comune accordo, non ritengano opportuno proseguire nel confronto per cercare una soluzione. L’esito della conciliazione chiaramente può essere positivo (per cui si procede con la risoluzione consensuale del rapporto e il riconoscimento al lavoratore della nuova indennità di disoccupazione Aspi)oppure negativo (nel qual caso viene redatto un verbale e il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore).

Conciliazione a tutele crescenti: il nuovo licenziamento introdotto dal Jobs Act

La vera novità introdotta dal Jobs Act in tema di licenziamento è invece la conciliazione a tutele crescenti che analizziamo in questa pagina.

Le uniche fattispecie in cui si applica sono i contenziosi sorti per:

  • lavoratori assunti a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015;
  • lavoratori con contratto trasformato a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015;
  • lavoratori qualificati da un rapporto di apprendistato dopo il 7 marzo 2015.

Il datore di lavoro che intima il licenziamento ad un dipendente assunto a tutele crescenti può cercare di evitare il giudizio offrendogli entro 60 giorni, un importo corrispondente ad una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr, per ogni anno di servizio prestato e in ogni caso in misura compresa tra 2 e 18 mensilità. LA cifra così calcolata non costituisce reddito imponibile ai fini fiscali, né è assoggettata a contribuzione Inps. Il lavoratore che accetta perde il diritto ad impugnare il licenziamento. Il datore di lavoro deve comunicare la presentazione dell’offerta di conciliazione a tutele crescenti, a prescindere da quale sia l’esito, portale Cliclavoro<strong