Fondi pensione sempre più nella bufera. Il ritorno dirompente dell’inflazione e l’azione di contenimento delle banche centrali sta mettendo a dura prova la tenuta del sistema creditizio. Basato per anni sul denaro a costo zero. Banche, fondi d’investimento e fondi pensione sono già in crisi.

L’onda lunga partita dagli USA somiglia tanto alla crisi dei mutui subprime scoppiata nel 2008. Con le prime banche (Silicon Valley Bank, Signature Bank e First Republic Bank) in dissesto finanziario, la crisi si sta rapidamente diffondendo anche in Europa.

Per ora a farne le spese è stata Credit Suisse. Non proprio una banchetta regionale che ha azzerato di punto in bianco obbligazioni per 16 miliardi di dollari ed evitato lo tsunami finanziario solo col salvataggio di UBS.

Fondi pensione nella bufera

E dentro le banche ci sono anche i fondi d’investimento e pensione. O meglio, i fondi sono diventati nell’era moderna uno degli strumenti principi per la facile raccolta di denaro nelle banche. Con uno scopo ben definito. Quello di garantire rendimenti e crescita del capitale.

Ma il sistema bassato sulla raccolta di soldi con lo scopo di garantire una pensione complementare da ritorni strabilianti rischia ora di saltare per aria. Già, perché, il crac di Credit Suisse è solo la punta dell’iceberg di un sistema che non funziona più. E già preoccupanti avvisaglie erano arrivate lo scorso anno con il salvataggio dei fondi pensione inglesi da parte della Bank of England.

Tante banche, anche italiane, sono direttamente e indirettamente coinvolte in questa crisi del nuovo decennio che ha visto il ritorno dell’inflazione ai livelli di 40 anni fa. Cosa che ha trovato impreparati, non solo i banchieri, ma anche i gestori dei fondi pensione, costretti a rimediare ai crolli dei mercati con vendite repentine di obbligazioni.

La conseguenza si percepirà, non solo sul patrimonio (in diminuzione), ma anche sui rendimenti.

E quando i lavoratori si accorgeranno che affidare il Tfr ai fondi pensione non rende quanto promesso, la bolla si sgonfierà da sola. E forse la finiranno anche di pompare verso il buco nero della previdenza complementare gestita da avide banche e assicurazioni.

Il flop della previdenza complementare

Nonostante la martellante campagna pubblicitaria promossa in passato dal governo con denaro pubblico per spingere i lavoratori verso la previdenza complementare, le adesioni in Italia restano contenute. I più reticenti sono i giovani che preferiscono tenersi stretto il Tfr. Ma anche fra i lavoratori senior sta montando la preoccupazione.

Nel 2022, infatti, i risultati dei fondi pensione hanno risentito del rialzo dei tassi di interesse, che a sua volta ha determinato un calo improvviso dei corsi dei titoli obbligazionari. I rendimenti netti sono pertanto risultati negativi a -9,8% per i fondi negoziali e a -10,7% per i fondi aperti; e addirittura a -11,5% nei PIP di ramo III. Nel frattempo il Tfr si è rivalutato del 8,3%.

Nessuno però scende in campo a spiegare ai lavoratori cosa è successo e, anzi, il governo sta addirittura pensando di spingere maggiormente verso la previdenza complementare con il silenzio assenso. Un istituto che limita la libertà di scelta della destinazione del trattamento di fine rapporto al momento dell’assunzione.

Del resto i fondi pensione stanno perdendo miliardi sui mercati e l’unico modo per tamponare la falla è quello di ricostituire con maggiori introiti quella parte di patrimonio che è andata in fumo. Vale a dire con sempre più adesioni alla previdenza complementare.

Il ruolo dei sindacati

In questo contesto le tre maggiori sigle sindacali nazionali si sono dimostrate conniventi sponsorizzando, a loro volta, l’adesione dei lavoratori alla previdenza complementare offerta dai fondi pensione. E abbandonando al contempo quella lotta di classe che viceversa stiamo assistendo in Francia dove i lavoratori sono scesi in piazza per protestare contro l’innalzamento dell’età pensionabile a 64 anni.

Da noi è stato più facile e indolore promuovere la previdenza integrativa che opporsi alle decisioni del governo Monti-Fornero nel 2011.

Del resto, Cgil-Cisl-Uil e Confindustria, banche e assicurazioni hanno ben oliato la macchina della finanza per scippare il Tfr ai lavoratori. Ricordiamo che, una volta iscritto a un fondo pensione, il lavoratore non può più uscirne. Particolare di non poco conto e che la dice tutta sulla trappola che il sistema ha congeniato per fregare i risparmiatori. Con l’avallo della propaganda che incute timore sul futuro pensionistico pubblico in Italia.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: i lavoratori perdono soldi e i banchieri si ingrassano. Chi, invece, si è tenuto ben stretto il Tfr lasciandolo in azienda può dormire sonni tranquilli. E godersi disponendo sempre di quel tesoretto che fino a 20 anni fa era considerato intoccabile.