Prosegue il trend positivo dei rendimenti dei fondi pensione. Dopo un primo trimestre dell’anno in ripresa, è proseguita la crescita dei rendimenti ad aprile 2023 anche se una rondine non fa primavera, come si suol dire. E per recuperare le perdite pregresse del 2022 serviranno ancora anni.

La ripresa dei mercati e il rallentamento dell’inflazione nel periodo gennaio-aprile 2023 hanno sostanzialmente permesso ai fondi pensione un incoraggiante recupero per il proseguimento dell’anno. Secondo i dati elaborati da BFF, i fondi negoziali hanno chiuso ad aprile con rendimenti in aumento dello 0,2% mentre gli aperti hanno messo a segno un +0,4%.

In linea con la rivalutaizone del Tfr laciato in azienda.

Fondi pensione: rendimenti in rialzo ad aprile

Torna quindi un po’ di ottimismo fra i lavoratori che stanno destinando il proprio Tfr ai fondi pensione. La previdenza complementare appare, infatti, sempre più necessaria nell’incertezza futura delle pensioni pubbliche. Il recupero dei primi 4 mesi dell’anno riguarda tutti i comparti. Inclusi i monetari e i gli aperti obbligazionari, le cui performance erano risultate fortemente colpite dal ritorno dirompente dell’inflaizone lo scorso anno.

Più nel dettaglio, il recupero dei rendimenti dei fondi pensione interessa tutte le linee di investimento. Ma a fare da traino, tra i fondi negoziali, sono i bilanciati azionari con un +0,29%. Seguono i bilanciati (+0,26%) e gli azionari (+0,25%). Tra i fondi pensione aperti, spicca la performance degli azionari: +0,62%, staccando i bilanciati azionari (+0,41%) e i bilanciati (+0,39%).

Sul lungo periodo (dieci anni), i fondi negoziali hanno guadagnato in media il 2,8% all’anno e gli aperti il 2,1%. In entrambi i casi, la maglia rosa spetta agli azionari, rispettivamente +4,6 e +3,7%. In coda si confermano invece i monetari, con una crescita dell’1% per i negoziali e dello 0,5% per i fondi aperti.

Recupero lento e dubbi sulla previdenza complementare

Dati alla mano, il recupero dei rendimenti deve essere confrontato con quanto perso lo scorso anno.

Ci vorranno quindi molti anni per tornare ai livelli precedenti il crollo dello scorso autunno quando in Gran Bretagna la Banca d’Inghilterra è intervenuta per salvare il settore. Con ripercussioni che si sono fatte sentire anche in Italia.

Il ritorno dell’inflazione ha infatti messo alle corde i gestori dei fondi pensione che sono corsi ai ripari vendendo assets e accusando violenti perdite sul comparto obbligazionario. Perdite che ancor oggi si possono tastare con mano. Solo il mercato azionario ha dato una piccola boccata di ossigeno, ma in generale le cose non stanno andando bene.

A confronto, la rivalutazione del Tfr lasciato in azienda ha reso di più sul lungo periodo. Il trattamento di fine rapporto, infatti, si rivaluta sempre del 1,50% più 0,75% del taso di inflazione senza subire cali. Nel 2022 è cresciuto del 8,3%, contro una perdita media del 10% dei fondi pensione. Un gap difficile da recuperare nel tempo.

Di fatto, sul lungo periodo il Tfr batte i fondi pensione: rispetto al 2017 (orizzonte di cinque anni), i fondi negoziali hanno guadagnato lo 0,4% e i fondi aperti lo 0,2%, mentre i PIP variano dal +1,4% delle gestioni separate al +0,6% degli unit linked. Il Tfr, invece, ha guadagnato il 3,3%. A dieci anni i fondi aperti sono saliti del 2,5%, i negoziali del 2,2% e il Tfr del 2,4%. Solo la performance media dei fondi pensione azionari è superiore al rendimento del Tfr.

Riassumendo…

  • La performance positiva dei primi mesi del 2023 di rendimento dei fondi pensione non deve trarre in inganno;
  • Nel lungo periodo il rischio di sottoscrivere forme di pensione complementare nel momento sbagliato rischia di compromettere seriamente i progetti di integrazione previdenziale;
  • Il Tfr lasciato in azienda ha reso di più dei fondi pensione negli ultimi 10 anni.