La dorata previdenza integrativa tanto strombazzata dai fondi pensione è una chimera. Troppi rischi, soprattutto dopo il ritorno dirompente dell’inflazione e con l’andamento altalenante dei mercati finanziari. Ne va dei rendimenti e si è visto.

Lo diciamo da sempre, ma adesso ci sono anche i dati ufficiali che lo dimostrano in maniera inequivocabile. Il 2022 è stato un anno nero per i fondi pensione. In Italia, la perdita media è stata di quasi il 6% a livello patrimoniale con effetti sui rendimenti in senso negativo del 10% in media (dati Covip).

Se si considera che il Tfr, al contrario, ha reso l’8,3%, lo scarto è di 18 punti percentuali.

Il Tfr dei lavoratori nella fornace dei fondi pensione

Nonostante la martellante campagna pubblicitaria promossa da governanti e faccendieri della finanza creativa (banche e assicurazioni), fra i lavoratori sta montando la sfiducia verso la previdenza complementare promossa dai fondi. Il motivo è semplice: si perdono soldi.

E questo in un momento in cui l’inflazione ha riportato in auge il Tfr lasciato in azienda che si rivaluta sempre positivamente. A capirlo più di tutti sono i giovani, anche per via della precarietà dei contratti di lavoro e della scarsa disponibilità economica che non consente alternative di investimento a lungo termine. Ma anche per via della scarsa adesione alle campagne pubblicitarie promosse dai sindacati fra gli associati (sempre meno).

D’altra parte, la sottoscrizione della destinazione del Tfr a un fondo pensione negoziale o aperto (poco importa) implica un vincolo. Una vola che si entra, non si esce più fino al giorno della pensione. A meno che non si perda il lavoro prima. Così i soldi non sono più nella disponibilità del lavoratore.

Meno avveduti sono i lavoratori senior che, al contrario, forse anche per via della maggior sicurezza nel posto di lavoro, affidano il Tfr ai fondi pensione. Il rischio c’è comunque per tutti e i rendimenti, alla fine, non saranno mai così promettenti come raccontano.

Perché l’inflazione penalizza i rendimenti

Ma perché il ritorno dell’inflazione penalizza i rendimenti dei fondi pensione? Il meccanismo che regola il funzionamento dei fondi è semplice: i gestori investono il denaro raccolto dai lavoratori in strumenti finanziari costituiti prevalentemente da titoli di Stato, obbligazioni, immobili e azioni. Il valore di questi asset non è fisso, ma varia in base all’andamento dei mercati.

Il ritorno dirompente dell’inflazione ha messo in difficoltà i fondi pensione che avevano investito in strumenti finanziari a caro prezzo utilizzando anche strumenti derivati nell’ultimo decennio di tassi a zero (o quasi). Più precisamente, i fondi pensione sono stati costretti a investire più soldi di quanto disponevano per poter garantire ai lavoratori maggiori ritorni rispetto al Tfr.

Con l’esplosione dell’inflazione e il crollo dei prezzi, i gestori hanno intrapreso una corsa alla vendita di bond e azioni per rientrare dai margini che ha comportato perdite patrimoniali importanti. Il risultato è stato un disastro su tutte le linee di investimento, come abbiamo visto dai dati Covip. Il che si ripercuote inesorabilmente sui rendimenti finali.

Per recuperare quanto perso serviranno anni e più soldi dalla raccolta (da qui l’insistenza ad aderire alla previdenza complementare). Per cui, chi ha sottoscritto i fondi pensione una decina di anni fa oggi perde. E dovrà attendere a lungo prima di rivedere un ritorno positivo dei propri investimenti. Mentre chi ha sottoscritto i fondi pensione in tempi più remoti non perde, ma manco guadagna più del Tfr.