Stop all’uso delle false partita Iva per nascondere un vero e proprio rapporto di lavoro. Dopo la riforma del lavoro 2012 dell’ex ministro Fornero che ha cercato di arginare il fenomeno, ora per la prima volta un giudice tributario segue la stessa linea.

False partite Iva: la sentenza della CTP Viterbo

Una sentenza della Commissione Tributaria di Viterbo ha accolto i ricorsi presentati da un operaio edile per ottenere l’annullamento delle richieste di pagamento di addizionali Irpef, Iva e Irap dopo essere stato costretto dal suo datore ad aprire una partita Iva per poter lavorare.

Storie di ordinaria quotidianità nel nostro paese dove il ricorso alle partite Iva false che nascondono dei rapporti di lavoro dipendente e subordinato vero e proprio sono all’ordine del giorno, nonostante la riforma lavoro Fornero ha cercato di arginare il fenomeno.

False partite Iva: i correttivi della riforma lavoro Fornero

La legge di riforma Fornero ha introdotto infatti dei requisiti per scovare le partite Iva che dietro una collaborazione nascondono in realtà rapporti di lavoro subordinati. In particolare, ai sensi della legge n. 92/2012,i titolari di partita Iva si presumono collaboratori a progetto se: o    la collaborazione “fittizia” dura più di 8 mesi nell’arco di un anno; o    dal rapporto il collaboratore si ricava più dell’80% del corrispettivo verso un unico committente; o    il collaboratore possiede una postazione “fissa” presso il committente (in un certo senso il collaboratore dovrà avere la sua postazione fissa nell’ufficio, con la sua scrivania).   Per dettagli sulla lotta alle partite Iva false nella riforma Fornero si veda False partite Iva e collaborazioni a progetto, arrivano i controlli fiscali False partite Iva, ecco le novità della riforma Fornero Per la prima volta un giudice tributario di primo grado riconosce l’insussistenza di qualsiasi obbligazione tributaria nei confronti del Fisco quando manchi un vero rapporto di lavoro autonomo, ma al tempo stesso riconosce così, di conseguenza, l’obbligo istituzionale delle Agenzie delle Entrare di verificare la reale partita iva.

La commissione tributaria di Viterbo ha stabilito che “se un lavoratore dipendente chiede l’attribuzione di una partita iva, non per questo può essere considerato soggetto passivo di imposta. La fattura emessa a fronte del salario corrispostogli dal datore di lavoro riguarda certamente un’operazione inesistente, che non può comportare per il lavoratore il versamento del tributo e per il datore di lavoro la possibilità di portarsi in detrazione l’Iva, che apparentemente risulta dalla fattura, da lui corrisposta”.