Ho bisogno di una consulenza sul reddito di cittadinanza urgente. A mio marito è stata riconosciuta la carta del reddito di cittadinanza. Io ho un contratto a termine che scade a fine agosto ma da inizio del mese prossimo dovrei entrare in servizio presso un altro ente per due mesi. Potrei licenziarmi da dove sono per trasferirmi nel nuovo lavoro o rischio di perdere il diritto della carta? Se mi facesse sapere con urgenza mi darebbe un grandissimo aiuto. In attesa di un vostro gentile riscontro in merito vi auguro una buona giornata“.

Il quesito proposto ci dà modo di fare chiarezza sulle regole per le dimissioni e il reddito di cittadinanza. La formulazione originaria della norma su questo punto era molto restrittiva. Gli ultimi emendamenti invece hanno dimostrato più apertura. Su tale questione, quindi, ci sentiamo di poter rassicurare la lettrice: le dimissioni di un familiare non fanno perdere il diritto al reddito di cittadinanza.

L’esclusione dal sussidio, con decadenza del diritto, riguarda dunque solo il diretto beneficiario e non anche un familiare che si dimette. Peraltro in questo caso si tratta di un cambio lavoro quindi verrebbe logicamente meno l’intento elusivo di perdita del lavoro per ottenere il sussidio del reddito di cittadinanza.

Ma non è tutto. Potrebbe infatti, in alcune circostanze, accadere che chi si dimette non perda il diritto al reddito di cittadinanza. Stiamo parlando delle dimissioni per giusta causa.

Dimissioni per giusta causa: resta il diritto al reddito di cittadinanza

Salve, vi racconto la mia esperienza. Dopo la maternità anticipata per gravidanza a rischio e il parto (per fortuna andato bene), sono rientrata a lavoro. Colleghi e datore però mi ha fatto “pagare” quello che, evidentemente, hanno interpretato come un abuso del mio diritto mediante. E così da mesi subisco mobbing e demansionamento. Ho deciso quindi di dare dimissioni per giusta causa: perderò il diritto al reddito di cittadinanza?

Se il lavoratore presenta dimissioni per giusta causa, tale scelta non comporterà la decadenza dal diritto al Reddito di Cittadinanza.

La domanda per il sussidio sarà quindi accolta. Ovviamente a condizione che sussistano gli altri requisiti per il RdC. Ricordiamo che sono considerate cause di dimissioni per giusta causa:

  • mancato pagamento dello stipendio per più di 3 mensilità, molestie sul lavoro, mobbing, stalking, ecc…;
  • dimissioni entro il compimento del primo anno del proprio figlio;
  • richiesta di trasferimento ad altra sede della stessa azienda più distante dalla residenza o raggiungibile con almeno 80 minuti usando i trasporti pubblici.

Nella storia raccontata, anche non volendo ravvisare il punto 1, siamo nel punto 2.

Dimissioni negli ultimi dodici mesi ma non nell’ultimo lavoro: si ha diritto al reddito di cittadinanza?

“Salve vorrei sapere se avrò diritto al reddito di cittadinanza. Lo scorso agosto sono stato assunto con un contratto di un mese, ma dopo dieci giorni mi sono dimesso perché ho trovato un altro lavoro con contratto a tempo indeterminato, ma dopo circa un mese e mezzo mi sono dimesso e ho trovato un altro lavoro con contratto di un mese, ma anche qui dopo una settimana mi sono dimesso. Ovviamente queste dimissioni non sono avvenute per scarsa voglia di lavorare, ma per problemi seri alla colonna vertebrale (riconosciuta una invalidità con appena il 35%)e comunque io in quei mesi non sapevo di queste regole sulle dimissioni volontarie. Intanto a febbraio ho trovato un altro lavoro con contratto di un mese e che si è concluso il 31 marzo (questa volta senza essermi dimesso). Il caf mi ha detto che conta l’ ultimo rapporto di lavoro, quindi secondo voi avrei diritto?. Ho tutti i requisiti del caso: due bambini, abitiamo in fitto, automobile comprata nel 1998, zero proprietà, Isee di circa 4500 € ecc”.

Come abbiamo visto prima rispetto alla Naspi, il reddito di cittadinanza prevede un limite in più: non è ammesso in caso di dimissioni volontarie nell’ultimo anno.

Questo paletto potrebbe essere spiegato per via della diversa natura di Naspi e reddito di cittadinanza. Il primo infatti è a tutti gli effetti uno strumento di welfare, la seconda invece più tecnicamente è inquadrabile a titolo di indennità per il licenziamento. Nel caso di specie però, è vero che il richiedente ha dato dimissioni ma è altrettanto vero che in seguito ha trovato una nuova occupazione.
Appare quindi condivisibile, sulla base delle disposizioni ad oggi note, l’interpretazione fornita dal Caf, che attribuisce rilevanza solamente all’ultima esperienza lavorativa. Ciò sarebbe coerente anche con la ratio del paletto dei 12 mesi, che serve, come è facile comprendere, ad evitare dimissioni volontarie date al solo intento di chiedere il reddito di cittadinanza.