Rafforzare le buste paga per superare lo scoglio dei rincari e dell’inflazione. Il decreto Aiuti bis, probabilmente l’ultimo importante passo del Governo dimissionario, ha messo sul tavolo una serie di misure importanti ma che rischiano di creare qualche bolla fra i vari beneficiari. Il piatto vede la presenza di implementazioni più o meno su tutte le misure esistenti a tutela delle famiglie, dal Bonus 200 euro fino ai 184 euro in più (massimi) sugli stipendi. Eppure, il caldo di agosto potrebbe sortire qualche mal di capo a chi, invece, ha già smesso di lavorare.

Le pensioni.

Il nodo principale, manco a dirlo, arriva proprio su questo punto. Un tema intricato sia nel suo assetto formale, con una riforma che tardava ad arrivare con l’esecutivo in sella, figurarsi ora, sia nella disposizione dei sostegni contro il carovita. Un paradosso, visto che proprio una parte dei pensionati figuravano fra i principali beneficiari della rivoluzione delle aliquote. Con il decreto di agosto, però, il piano degli aiuti sembra essere stato ridisegnato con un occhio di riguardo alle buste paga.

L’apporto del Decreto

I fondi del decreto, di fatto, hanno assunto l’aspetto di una concessione del Governo uscente. Un’ultima misura a favore degli italiani prima dell’avvicendamento che maturerà con le elezioni del 25 settembre. Fin dal primo momento, al netto di una schiera di esclusi, è apparso chiaro che gli stipendi sarebbero stati i primi a beneficiare del nuovo pacchetto di aiuti. Al contempo, però, altrettanto chiaro appariva il neo sulla questione pensioni. Se, infatti, le buste paga si gonfieranno praticamente fino alla fine del 2022, attraverso lo strumento della decontribuzione che genererà un risparmio significativo sugli oneri, per quel che riguarda gli assegni pensionistici, il sistema è radicalmente diverso.

Per gli stipendi si parla di un aumento medio di 184 euro al mese ma solo per chi percepisce stipendi significativi, nella misura di 2.500 euro.

Più indietro restano gli autonomi e le piccole partite Iva, in difficoltà anche nel periodo più intenso della pandemia. A intervenire, come detto, sono le decontribuzioni che, sgravando le buste paga da alcune voci, andranno a sollevare l’utile.

Le pensioni a rischio blocco

Per quanto riguarda le pensioni, il metodo si gioca sulla perequazione. Sarà questa, infatti, che andrà a favorire l’implementazioni degli assegni. Un vantaggio se si ragiona in ottica inflazione, anche se l’adeguamento è solitamente minimo. Con il tasso inflazionistico crescente, però, ha alzato notevolmente il rapporto con la perequazione e, di conseguenza, l’aumento previsto per gennaio 2023. Indubbiamente una grossa mano ai pensionati, sui quali però grava un altro fattore. A remare in senso contrario è infatti il blocco pensione, valido per tutti coloro che non hanno presentato il modello Red e INV CIV.

La soluzione è a portata di mano, dai Caf al sito Inps, il tutto subordinato al possesso dello Spid o della Carta d’identità elettronica. In sostanza, a fronte di un aumento previsto, il rischio è di trovarsi di fronte a uno stop dell’apporto diretto. In pratica, per evitare problemi, sarà necessario affrettarsi a fornire tutta la documentazione necessaria. In ballo c’è una grossa fetta di aiuti. E l’inflazione non aspetta.