Andare in pensione anticipata nel 2023 è diventato più difficile. Rispetto all’anno scorso, è stato dato un giro di vite, sia a Opzione Donna che a Quota 103, nata con la fine di Quota 102. Mentre nulla cambia per Ape Sociale.

Torna, invece, il bonus Maroni del 2004 che garantisce un aumento di stipendio netto ai lavoratori che posticipano l’uscita dal mondo del lavoro. Ovvero un esonero di contributi che farà salire l’importo dello stipendio di circa il 10%. Ma vediamo bene quali sono le novità.

Le nuove pensioni con Quota 103

Fino a fine 2023 si potrà andare in pensione con Quota 103 che prevede l’uscita a 62 anni con almeno 41 di contributi. Questa opzione sostituisce Quota 102 ed è stata proposta dal Governo Meloni per evitare lo scalone con i requisiti Fornero.

Oltre ai requisiti anagrafici e contributivi, è necessario che l’importo della pensione maturata non superi di 5 volte quello del trattamento minimo. Vale a dire, circa 2.800 euro di pensione lorda ovvero 2.000 euro netti al mese, euro più euro meno.

Quota 103 è quindi riservata a pochi. Un po’ per via del fatto che i requisiti saranno centrati nel 2023 solo da pochi lavoratori in grado di soddisfare entrambi i requisiti. Un po’ per via della convenienza. A conti fatti, chi è a un passo dalla pensione di vecchiaia o anticipata Quota 103 non è la soluzione ideale.

Opzione Donna 2023

Resta poi Opzione Donna, la pensione anticipata riservata alle lavoratrici. La nuova versione per il 2023 prevede l’uscita a 60 anni per tutte le lavoratrici, autonome e dipendenti, con uno sconto di un anno per ogni figlio fino a un massimo di 2 anni. Resta invariato il requisito contributivo di almeno 35 anni di versamenti.

Entrambi i requisiti per ambedue le categorie di lavoratrici debbono essere posseduti al 31 dicembre 2023. Per chi ha versato contributi in gestioni diverse, si fa riferimento agli ultimi anni di lavoro. Pertanto l’età anagrafica di riferimento è quella relativa all’ultimo rapporto di lavoro al momento della domanda di pensione.

Altro requisito da soddisfare da quest’anno, introdotto con la riforma Meloni, è l’appartenenza a una o più delle seguenti condizioni:

  • caregiver;
  • disoccupazione a seguito di licenziamento per crisi aziendale;
  • invalidità civile non inferiore al 74%.

Il calcolo della pensione avviene con il sistema contributivo puro, anche per i contributi versati nel sistema retributivo. Per cui l’assegno risulta penalizzante e può comportare anche un taglio significativo dell’importo rispetto alla pensione ordinaria. I tempi di attesa della liquidazione della pensione sono lunghi: 12 mesi dal perfezionamento dei requisiti.

Il bonus Maroni

E veniamo, infine, al bonus Maroni. La riforma prevede uno sgravio dei contributi a carico del lavoratore e datore di lavoro a patto che si rinunci alla pensione anticipata con Quota 103. Chi decide di rimanere al lavoro, d’accordo con il datore, può quindi beneficiare di un bonus direttamente in busta paga pari all’ammontare mensile dei contributi da versare all’Inps.

L’esonero interessa i lavoratori dipendenti e ammonta al 33% del totale dei contributi totali da versare (quota lavoratore più quota datore di lavoro) e la corrispondente somma dovuta a titolo di contribuzione a carico del lavoratore non sarà destinata all’ente di previdenza ma confluirà nello stipendio netto del lavoratore.

Il lavoratore percepisce così una retribuzione più alta, ma contestualmente il montante contributivo non aumenterà. Ne consegue che anche la pensione non salirà al momento della domanda proprio per effetto della mancanza di contribuzione.