La trasformazione di una unità immobiliare da categoria catastale C/2 (magazzino) ad unità abitativa di categoria A/3, e la successiva alienazione di quest’ultimo, si configura come attività imprenditoriale generando reddito d’impresa. A chiarirlo è stata l’Agenzia delle Entrate nella Risposta n. 152/E del 2020, riguardante il caso di un contribuente proprietario di una unità immobiliare riconducibile alla predetta categoria C2. Questi, ricevute le dovute autorizzazioni dagli uffici competenti, intende modificare cambiarne la destinazione d’uso, suddividendola in tre unità immobiliari ad uso abitativo.

La sua intenzione è poi quella di vendere tali tre abitazioni, convenendo contrattualmente che le necessarie opere di ristrutturazione e risanamento conservativo rimangano a totale carico dei potenziali acquirenti.

È chiesto, quindi, all’Amministrazione finanziaria se in tal caso si venga a configurare attività d’impresa e se, in caso negativo, si generi una plusvalenza imponibile come redditi diversi.

La tesi dell’Amministrazione finanziaria

L’Agenzia delle Entrate, evidenzia dal canto suo in primo luogo che, ai sensi della diposizione normativa contenuta all’art. 67, comma 1 lett. b) del TUIR, il presupposto per la tassazione della plusvalenza nell’ambito dei redditi diversi è che l’attività posta in essere dalla persona fisica non sia idonea a configurare l’esercizio di impresa commerciale, ai sensi dell’art. 55 dello stesso TUIR.

Secondo quest’ultimo, affinché si configuri l’attività commerciale è necessario che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità “abituale”, ancorché non esclusiva e, in mancanza di tale elemento, l’attività commerciale esercitata “occasionalmente” è produttiva di un reddito inquadrabile nella categoria dei redditi diversi.

Tuttavia, fa notare l’Amministrazione, c’è un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui la qualifica di imprenditore può essere attribuita anche a chi semplicemente utilizzi e coordini un proprio capitale per fini produttivi. Inoltre secondo quanto chiarito nella Risoluzione n. 204/E del 20 giugno 2002, l’esercizio dell’impresa “può esaurirsi anche con un singolo affare in considerazione della sua rilevanza economica e delle operazioni che il suo svolgimento comporta e, a tal fine, non rileva che le opere eseguite siano qualificabili quali opere di risanamento”

In definitiva, secondo l’Agenzia delle Entrate, nel caso in questione, dalla vendita delle tre unità immobiliari ne consegue un reddito d’impresa (e non redditi diversi), “dal momento che l’intervento sull’immobile originariamente C2” di cui è proprietario il contribuente, “risulta finalizzato non al proprio uso o a quello della propria famiglia, bensì alla vendita (delle tre abitazioni) a terzi, previo ottenimento del cambiamento della destinazione d’uso, avvalendosi di un’organizzazione produttiva idonea e svolgendo un’attività protrattasi nel tempo l’esercizio di impresa commerciale”.