Il contributo a fondo perduto non spetta alle partite iva cessate alla data del 23 marzo, data di entrata in vigore del Decreto Sostegni. Potrebbe accadere che un soggetto che ha cessato la partita iva da poco tempo, temporeggi nell’invio della comunicazione di cessazione al Fisco. L’intento sarebbe quello di beneficiare del contributo a fondo perduto per poi successivamente comunicare la cessazione. La cessazione è comunicata con lo stesso modello con il quale viene richiesta al Fisco l’attivazione della partita iva.

 Il contribuente ha 30 giorni per comunicarla al Fisco.

Richiesto il contributo a fondo perduto, l’Agenzia delle entrate potrebbe attivare controlli sostanziali volti al recupero dello stesso. Con sanzioni piuttosto pesanti.

Il contributo a fondo perduto nel Decreto Sostegni

L’art.1 del D.L. 41/2021, DL Sostegni ha riproposto un aiuto sotto forma di contributo a fondo perduto per le partite iva colpite dalla pandemia da covid-19. Il contributo può essere richiesto da: imprese e professionisti. Anche i titolari di reddito agrario possono richiedere il contributo a fondo perduto. Sia se determinato il reddito su base catastale sia se producono reddito d’impresa.

Detto ciò, per accedere al contributo, il primo requisito da rispettare, fa riferimento al monte ricavi/compensi 2019. Infatti, il monte ricavi/compensi non deve essere superiore a 10 milioni di euro. Inoltre, alternativamente è necessario che:

  • l’importo della media mensile del fatturato e dei corrispettivi relativa all’anno 2020 inferiore almeno del 30% rispetto all’importo della media mensile del fatturato e dei corrispettivi relativi all’anno 2019;
  • attivazione della partita Iva a partire dal 1° gennaio 2019.

Difatti, i soggetti che hanno aperto la partita iva dal 1° gennaio 2019 in avanti, accedono al contributo a fondo perduto anche se non rispettano il requisito della perdita di fatturato.

Ad ogni modo, alla differenza tra la media fatturato 2019 e quella 2020, si applicano le seguenti percentuali:

  • 60%, se i ricavi e i compensi dell’anno 2019 sono inferiori o pari a 100.000 euro;
  • 50%, se i ricavi e i compensi dell’anno 2019 superano i 100.000 euro ma non l’importo di 400.000 di euro;
  • 40%, se i ricavi e i compensi dell’anno 2019 superano i 400.000 euro ma non l’importo di 1.000.000 di euro;
  • 30%, se i ricavi e i compensi dell’anno 2019 superano 1.000.000 di euro ma non l’importo di 5.000.000 di euro;
  • 20%, se i ricavi e i compensi dell’anno 2019 superano 5.000.000 di euro ma non l’importo di 10.000.000 di euro.

I Soggetti esclusi dal

Non possono accedere al contributo a fondo perduto i soggetti individuati al comma 2 dell’art.

41.

Il riferimento è ai:

  • soggetti che hanno attivato la partita Iva successivamente al 23 marzo 2021 (data di entrata in vigore del decreto “Sostegni”), con la sola eccezione degli eredi che hanno attivato partita Iva successivamente a tale data per la prosecuzione dell’attività di soggetto deceduto;
  • oggetti la cui attività è cessata alla data del 23 marzo 2021 (data di entrata in vigore del decreto “Sostegni”);
  • enti pubblici, di cui all’art. 74 del Tuir;
  • intermediari finanziari e società di partecipazione, di cui all’art. 162-bis del Tuir.

Chi richiede il contributo a fondo perduto, nell’istanza telematica “fondo perduto”, deve specificare che non rientra nelle suddette casistiche.

Il contributo a fondo perduto per le partite iva cessate

Come detto sopra, il contributo a fondo perduto non può essere richiesto dalla partita iva cessata. Potrebbe accadere che, un soggetto che ha cessato la partita iva da poco tempo, temporeggi nell’invio della comunicazione di cessazione al Fisco. L’intento sarebbe quello di beneficiare del contributo a fondo perduto per poi successivamente comunicare la cessazione. La cessazione è comunicata con lo stesso modello con il quale viene richiesta al Fisco l’attivazione della partita iva.

Per le persone fisiche si utilizza il modello AA9/12.

Per comunicare la cessione sono previste specifiche tempistiche.

Infatti, l’art.35 del DPR 633/72 dispone che:

in caso di variazione di alcuno degli elementi di cui al comma 2 o di cessazione dell’attivita’, il contribuente deve entro trenta giorni farne dichiarazione ad uno degli uffici indicati dal comma 1, utilizzando modelli conformi a quelli approvati con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate.

In caso di cessazione dell’attivita’, il termine per la presentazione della dichiarazione di cessazione decorre dalla data di ultimazione delle operazioni relative alla liquidazione dell’azienda. Operazioni per le per le quali rimangono ferme le disposizioni relative al versamento dell’imposta, alla fatturazione, registrazione, liquidazione e dichiarazione.

Nel modello AA9/12 deve essere indicata la data di cessazione della partita iva.

Il contributo a fondo perduto per le partite iva cessate: chiusura d’ufficio

La chiusura della partita iva può essere disposta anche su iniziativa dell’Agenzia delle entrate, c.d. chiusura d’ufficio. Per le partite iva inattive.

Infatti, il Fisco, procede d’ufficio alla chiusura delle partite Iva dei soggetti che:

  • sulla base dei dati e degli elementi in suo possesso,
  • risultano non aver esercitato nelle tre annualità precedenti attività di impresa ovvero attività artistiche o professionali.

Il contribuente riceve una comunicazione con la quale è informato della chiusura d’ufficio della partita Iva. Contro tale comunicazione, il contribuente può comunque dare prova contraria.

Ad ogni modo, se la partita iva è effettivamente cessata, il contributo a fondo perduto non spetta.

Il contributo a fondo perduto per le partite iva cessate

Se abbiamo richiesto il contributo nonostante l’attività sia cessata, temporeggiando sulla comunicazione al Fisco, le conseguenze potrebbero essere piuttosto pesanti.

Infatti, in caso di contributo non spettante si applicano le seguenti sanzioni, oltre al recupero del contributo non spettante:

  • sanzione prevista dall’articolo 13, comma 5, del decreto legislativo n. 471/1997, ossi
  • nella misura minima del 100% e massima del 200% (è esclusa la possibilità della definizione agevolata).

Inoltre, si applica, la pena prevista dall’articolo 316-ter del Codice penale, in materia di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, che prevede alternativamente:

  • la reclusione da 6 mesi a 3 anni
  •  nel caso di contributo erogato di importo inferiore a 4.000 euro, la sanzione amministrativa da 5.164 euro a 25.822 euro, con un massimo di tre volte il contributo indebitamente percepito.