Il contratto di espansione conviene ai lavoratori o è un vero flop?

Il prepensionamento che anticipa fino a 5 anni l’uscita dal lavoro consente alle aziende in possesso di determinati requisiti di mandare in pensione su base volontaria i lavoratori prossimi alla pensione (a 62 anni anziché a 67).

Secondo Roberto Ghiselli, segretario confederale della Cgil “rischia il flop“. Perché?

E’ troppo costoso per le imprese e, se l’anticipo è di soli 2 anni, è svantaggioso per il lavoratori.

Vediamo i dettagli.

Contratto di espansione: un vantaggio o un vero flop?

Se non si modificano i criteri di accesso si rischia il flop” ha dichiarato Ghiselli.

Da una parte, il contratto di espansione risulta troppo costoso per le aziende che devono versare l’importo della pensione maturata per 5 anni e possono recuperare l’importo della Naspi per 2 anni. L’impresa paga i contributi solo in caso di accesso alla pensione anticipata ma non per quella di vecchiaia (che prevede 20 anni di contribuzione).

Dall’altra, se l’uscita dal lavoro è di soli 2 anni, la misura non conviene ai lavoratori: preferiranno andare in Naspi per avere i contributi.

Contratto di espansione: requisiti per lavoratori e aziende

Nel 2019, il Decreto Crescita ha introdotto il contratto di espansione destinato soltanto alle grandi imprese con oltre 1.000 dipendenti: prevedeva uno scivolo di 2 anni.

Nel 2020, la misura è stata estesa alle imprese con oltre 250 lavoratori.

Il Decreto Sostegni bis ha portato ad un’ulteriore estensione alle aziende con oltre 100 dipendenti con uno stanziamento aggiuntivo per la Cig.

Con il contratto di espansione l’azienda può prepensionare su base volontaria i lavoratori vicini alla pensione che non intendono continuare a lavorare fino a 67 anni anticipandola fino a 5 anni (a 62 anni di età).

Questo particolare accordo tra aziende e Governo ha come obiettivo la ristrutturazione del personale per favorire il ricambio generazionale. Viene concessa una cassa integrazione straordinaria ed agevolazioni per l’esodo anticipato.

La riqualificazione di personale già assunto viene pagata dallo Stato tramite la cassa integrazione.

Le aziende con oltre 1.000 dipendenti beneficiano di un importo pari alla Naspi maturata dai lavoratori esodati fino a 36 mesi (anziché 24 come previsto per le imprese con almeno 100 dipendenti). Per ottenere tale beneficio, le imprese devono assumere un lavoratore ogni 3 pensionati.

Il contratto di espansione è un flop: ecco perché

Con l’uscita anticipata di 5 anni, il lavoratore rischia di percepire un assegno tagliato di un quarto. L’ha spiegato la Cgil.

Il contratto di espansione implica una forte perdita economica per i lavoratori dovuta sia alla mancata maturazione del Tfr negli ultimi anni di lavoro sia al mancato versamento dei contributi previdenziali. Considerando gli 82 anni di vita media, la perdita sarebbe di 80mila euro netti (122mila euro lordi) per i pensionati con contratto di espansione.

Progetica ha calcolato che uscire dal lavoro 5 anni prima con questo sistema per un lavoratore che percepisce uno stipendio netto di 2mila euro significherebbe vedersi tagliare la pensione del 22% da subito e del 10-15% nel corso della vita del contribuente.