È recente la notizia del licenziamento del dipendente Cooplat – cooperativa specializzata in pulizie e sanificazione – che ha perso il lavoro per non essersi presentato in azienda a seguito della morte del nonno (della moglie). Carmelo Zacame, che aveva avvisato i suoi superiori via WhatsApp, prestava servizio a Torino, ma si era dovuto recare in Sicilia per prendere parte al funerale. L’assenza, però è stata considerata ingiustificata da parte della cooperativa. E così, il 4 settembre – dopo l’avvio di un procedimento disciplinare – è arrivata la lettera di licenziamento.

“Era il nonno di mia moglie, ma era anche mio nonno, l’ho chiamato così per 20 anni”, ha spiegato lui, ma questo non è servito a fargli conservare il posto.

Ma come funziona in questi casi? Quando spetta il congedo per funerale? E fino a quale grado di parentela può essere richiesto?

Congedo funerale: la differenza con i permessi per lutto

Prima di tutto, una premessa: i congedi funerale sono diversi da quelli individuati e regolamentati da legislatore come “permessi per lutto“. La disciplina generale è contenuta nella Legge n. 53 dell’8 marzo 2000 e nel decreto n. 278 del 21 luglio 2000 (Regolamento attuativo della stessa, concernente congedi per eventi e cause particolari).

All’art. 4 della L. 53/2000, rubricato “Congedi per eventi e cause particolari“, viene disposto che: “La lavoratrice e il lavoratore hanno diritto ad un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all’anno in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge o di un parente entro il secondo grado o del convivente, purché la stabile convivenza con il lavoratore o la lavoratrice risulti da certificazione anagrafica”.

Questo vuol dire, in pratica, che in caso di morte di un parente (entro il grado previsto dalla legge), un lavoratore può assentarsi senza ripercussioni sul lavoro o sullo stipendio. L’assenza, quindi, è considerata giustificata.

Con riferimento specifico ai permessi per lutto, l’art.

1 del Regolamento 278/200 specifica poi che “la lavoratrice e il lavoratore, dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati, hanno infatti diritto a tre giorni complessivi di permesso retribuito all’anno in caso di decesso o documentata grave infermità” per:

  • il coniuge, anche legalmente separato;
  • un parente entro il secondo grado, anche non convivente;
  • un soggetto componente la famiglia anagrafica della lavoratrice o del lavoratore medesimi

Come specificato dal legislatore, è compito dell’interessato comunicare previamente al datore di lavoro l’evento che da “titolo al permesso”, specificando anche i giorni nei quali sarà utilizzato. Per quanto riguarda i casi di morte: “I giorni di permesso devono essere utilizzati entro sette giorni dal decesso”. Inoltre, nei giorni di permesso non sono considerati i giorni festivi e quelli non lavorativi.

Congedo funerale, entro quale grado di parentela spetta: la normativa che disciplina i casi di lutto come “gravi motivi familiari”

Il congedo funerale, rientra tra i congedi per “gravi motivi familiari” disciplinato dalla Regolamento 278/2000, per cui la lavoratrice e il lavoratore, dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati, possono richiedere un periodo di assenza dal lavoro per cause relative alla situazione personale, della propria “famiglia anagrafica”, nonché dei soggetti di cui all’articolo 433 del codice civile (anche se non conviventi), e cioè:

  • il coniuge;
  • i figli legittimi o legittimati o naturali o adottivi e, in loro mancanza, i discendenti prossimi (eventuali nipoti);
  • i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi (ad es. i nonni);
  • gli adottanti; i generi e le nuore;
  • il suocero e la suocera;
  •  i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani (fratelli/sorelle che hanno in comune entrambi i genitori) sugli unilaterali (fratelli/sorelle che hanno in comune solo un genitore).

A questi si aggiungono anche i portatori di handicap, parenti o affini entro il terzo grado, anche se non conviventi.

Il congedo in questi casi può essere utilizzato per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni nell’arco della vita lavorativa. Per le modalità di richiesta o concessione, invece, il legislatore rimanda ai contratti collettivi nazionali e di categoria.

Il datore di lavoro, comunque, è tenuto entro 10 giorni dalla richiesta del congedo a esprimersi sulla stessa, e a comunicarne l’esito al dipendente. L’eventuale diniego, la proposta di eventuale rinvio a periodo successivo o la concessione parziale dello stesso devono essere motivati (per esempio facendo riferimento a ragioni organizzative e produttive che non consentono la sostituzione del dipendente).

Quando l’evento che da’ titolo al congedo (o al permesso) è il decesso, la lavoratrice e il lavoratore sono tenuti a documentare detto evento con la relativa certificazione, ovvero, nei casi consentiti, con dichiarazione sostitutiva. Il congedo accettato, infine, dovrà essere comunicato dal datore di lavoro alla direzione provinciale del lavoro – servizio ispezione del lavoro – entro 5 giorni dalla concessione dello stesso.