Grosse novità potrebbero intercorrere nel rapporto tra commercialista e clienti/contribuenti in seguito all’attuazione della direttiva europea che impone ai commercialisti l’obbligo di denunciare i clienti sospetti per i controlli fiscali. Crollano le basi del segreto professionale?

Se il commercialista fa la spia: segreto professionale o obbligo di denuncia?

Finora il contribuente che si rivolge al commercialista lo fa affidandosi alla sua professionalità per orientarsi nella giungla delle tasse che spesso si basa su normative ambigue o difficili da interpretare per chi non è del settore.

L’articolo 622 c.p. punisce la violazione del segreto professionale ovvero l’atto di “rendere noti fatti, circostanze, informazioni, notizie la cui diffusione potrebbe creare nocumento alla persona che si è rivolta al professionista in ragione del suo stato, ufficio, arte o professione”. E lo stesso segreto professionale è sancito nel codice deontologico dei dottori commercialisti. E’ altresì vero però che gli articoli 361 e 362 del Codice Penale, e 331 del codice di rito prevedono l’obbligo di denuncia in relazione ai delitti contro l’Amministrazione della giustizia.

Di fronte al segreto professionale il contribuente si è sempre sentito tutelato. Basti pensare che, fino ad oggi, il commercialista poteva rifiutarsi di esibire documenti del cliente che potrebbero far scaturire un’indagine tributaria nei suoi confronti. Ma le cose potrebbero cambiare anzi essere totalmente stravolte.

Una recente direttiva europea dell’Ecofin, datata 13 marzo 2018, potrebbe infatti trasformare i commercialisti in spie del Fisco. La direttiva peraltro non parla solo di atti illeciti ma di “pratiche aggressive”. Un concetto generico che potrebbe far vacillare il rapporto di fiducia tra dottori commercialisti e clienti. Il Consiglio nazionale dell’ordine ha fatto notare che, ad esempio, anche l’Ace (Aiuto alla crescita economica), misura voluta dal governo italiano per incentivare gli investimenti, potrebbe essere qualificata in senso stretto come una “pratica aggressiva”.

Alessandro Solidoro, consigliere nazionale dei commercialisti, ha spiegato che sull’obiettivo della direttiva non ci sono polemiche: “che le tasse vadano pagate dove il reddito viene prodotto è un principio fondamentale” ma al tempo stesso ha fatto presente come la direttiva “parte dalla considerazione delle grandi società di consulenza che spesso giocano un ruolo ambivalente: da una parte consulenti dei governi per scrivere le legislazioni fiscali, e dall’altra consulenti delle multinazionali”.


La paura di essere denunciati potrebbe spingere i clienti a non essere sinceri con il commercialista inducendolo in errore nella dichiarazione. Conseguenza indiretta potrebbe essere peraltro quella di spingere i contribuenti a cercare un consulente fiscale in Paesi extracomunitari che non prevedono obblighi di segnalazione.