Ormai da tanto tempo non si fa altro che parlare del reddito di cittadinanza e di come, secondo i suoi detrattori, disincentiverebbe i suoi percettori ad accettare un nuovo lavoro, preferendo il sussidio.
In questi giorni, in parlamento si stanno discutendo diverse proposte di legge volte a “risolvere” questo problema.
In primo luogo, i ministri del Lavoro, dell’Economia e del Turismo starebbero lavorando ad una modifica all’Istituto del reddito di cittadinanza per superare l’attuale meccanismo del cumulo parziale tra il sussidio e il lavoro stagionale.


Inoltre, in parlamento, è stato da poco presentato un emendamento al disegno di legge di conversione del Decreto Aiuti che istituisce una norma che è già stata definita come la “spazza divani”. Si tratta di una norma che consente ai privati di offrire un lavoro ai percettori di reddito di cittadinanza per chiamata diretta, scavalcando, di fatto, i centri per l’impiego e i navigator. Ma davvero questi soggetti preferiscono “il divano ad un lavoro”?

I numeri sul reddito di cittadinanza (ma anche sulle retribuzioni)

Iniziamo col dire che, in effetti, esisterebbe una certa propensione da parte dei percettori del reddito di cittadinanza a rifiutare un lavoro “stagionale”. Il reddito da lavoro pesa per l’80%. In altre parole, se il reddito da lavoro aumenta di 100 euro, l’ammontare sussidio diminuisce di 80: il guadagno, dunque, è soltanto di 20 euro. Insomma, non c’è una grande convenienza.
Ad ogni modo, dobbiamo anche dire che il reddito di cittadinanza è uno strumento di lotta alla povertà che, senza dubbio alcuno, ha funzionato.
Secondo il rapporto dell’ISTAT, nel 2020 (dunque in piena pandemia) questo strumento ha evitato a un milione di persone di trovarsi in condizione di povertà assoluta. Senza di esso, le famiglie sotto la soglia di povertà sarebbero aumentate drasticamente.
Sempre l’ISTAT parla anche di un’altra questione che meriterebbe più attenzione, ossia quella delle retribuzioni.

Secondo il report, ben quattro milioni di lavoratori dipendenti (quasi 1 su 3) guadagnano meno di 12 mila euro l’anno. Ad oggi, l’Italia è uno dei Paesi europei con i salari più bassi.
Forse, dunque, più che ad una “spazza divani”, le istituzioni dovrebbero impegnarsi sull’altro fronte, quello delle retribuzioni, ad esempio istituendo il tanto discusso “salario minimo”.