Anche se il Jobs Act ha modificato profondamente i rapporti di collaborazione tracciando un netto confine tra coordinamento autonomo e organizzazione del lavoro, i rapporti cococo sono ancora possibili.

Il Jobs Act descrive in questo modo il lavoro autonomo e la collaborazione: “a collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa”. Se il luogo di lavoro e le modalitòà sono decise dal committente, quindi, non di tratta di una genuina collaborazione e il lavoro deve essere inteso come subordinato.

Ma se il lavoratore organizza la propria attività in maniera autonoma, senza imposizioni, la collaborazione è autentica è il contratto di collaborazione ha ancora motivo di esistere.

Cococo: quando la collaborazione può essere utilizzata?

Per far in modo che i committenti non utilizzassero i Cococo per mascherare lavoro subordinato la normativa ha dato importanti chiarimenti su quanto una collaborazione possa o meno essere considerata genuina.

Quando la collaborazione non è genuina può essere ricondotta al lavoro subordinato e si tratta dei casi in cui l’attvitità non è occasionale e le modalità di esecuzione sono organizzate dal committente (tempi e luoghi di lavoro). Se il lavoratore è tenuto a rispettare degli orari, è tenuto a svolgere la propria attività in una sede specifica e se la prestazione è personale e continuativa, sicuramente non si configura il lavoro autonomo ma quello subordinato. In questi casi va applicata la disciplina del lavoro subordinato.

Alcune ipotesi di collaborazione, però, sono escluse dalla presunzione di subordinazione e si tratta di quelle regolamentate dai contratti collettivi e finalizzate a esigenze produttive particolari, così come le collaborazioni svolte dal professionisti iscritti ad albi o ordini, le collaborazioni effettuate da amministratori e sindaci e quelle prestate in favore di società sportive dilettantistiche affiliate al CONI.