Con i tempi che corrono bisogna guardare al futuro che ci aspetta da anziani. E con queste pensioni non c’è da stare allegri. Questo più o meno il pensiero e il consiglio che per molto tempo giovani e meno giovani si sono sentiti dare. E il “guardare al futuro”, spesso, si concretizza nella scelta di non lasciare in azienda il Tfr, ma investirlo in qualche fondo per garantirsi una pensione supplementare e una vecchiaia più tranquilla. Ma è davvero la scelta giusta oggi?

Il crollo dei fondi pensione in Gran Bretagna ha suscitato un preoccupante allarme anche in Italia.

La previdenza integrativa è a rischio perché le promesse dei gestori dei fondi pensione si sono rivelate sbagliate. Ad andarci di mezzo sarebbero i lavoratori, come sempre.

Ma partiamo dai numeri. Nei primi nove mesi del 2022 i rendimenti dei fondi pensione italiani sono stati negativi. I fondi negoziali hanno perso il 10,6%, quelli aperti il 12,2%. Mentre per i piani individuali pensionistici di ramo III le perdite sono state addirittura del 12,4%.

Chi paga il conto dei fondi pensione

A pagare il conto salato causato, da un lato dal ribasso dei mercati finanziari e dall’altro dall’esplosione dell’inflazione come non si vedeva da 40 anni, sono i lavoratori. Cioè coloro che hanno finora destinato il Tfr dall’azienda ai fondi pensione.

Il patrimonio dei fondi, da Amundi a Blackrock passando per Generali, è sceso del 5,1%, cioè di 10,9 miliardi di euro. Questo cosa significa? In pratica questi capitali che sono andati in fumo sono stati raccolti in più di 6 anni di attività. Quindi chi ha destinato quote del Tfr nei fondi pensione fino al 2016 non ha guadagnato nulla. Chi lo ha fatto dopo, ha perso soldi.

Da qui la corsa di banchieri e assicuratori a spingere il governo verso una legge che incentivi ulteriormente l’adesione alla previdenza complementare.

Come? Alleggerendo la tassazione attualmente presente sui fondi pensione per consentire al lavoratore di ottenere una rendita migliore al momento del riscatto.

Nelle intenzioni dell’esecutivo l’asticella dovrebbe scendere di almeno il 2-2,5%. Sarà poi valutata con attenzione la richiesta dei sindacati di avviare una nuova fase di “silenzio-assenso” per destinare il Tfr alla previdenza complementare. Altra costrizione a tutto vantaggio di chi vuole mettere le mani sui soldi dei lavoratori.

Chi fa soldi con i fondi pensione

Ma torniamo alla domanda che ci siamo posti all’inizio. Se a rimetterci sono i lavoratori, che dalla perdita dei fondi pensione otterranno una rendita più bassa di quella promessa, chi ci guadagna? Posto che i soldi non si distruggono, ma semplicemente passano di tasca in tasca, vediamo chi se li prende.

Al primo posto ci sono le banche e le assicurazioni. Queste guadagnano dai costi di intermediazione e di gestione del patrimonio, indipendentemente da come vanno i mercati. Così come gli amministratori e da coloro che siedono nei consigli di amministrazione dei fondi pensione. Cioè sindacati, Confindustria e consulenti vari (dagli economisti ai professori universitari).

Tutti soggetti che non rischiano nulla perché i loro compensi sono assicurati sempre. E più gli iscritti ai fondi pensione aumentano, maggiori sono gli introiti. Da gennaio a settembre – secondo i dati della Commissione vigilanza sui fondi pensione, Covip – le posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari sono 10,1 milioni, in crescita di 410.000 unità (+4,2 per cento) rispetto alla fine del 2021.

Perché è meglio lasciare i soldi nel Tfr

Lasciare i soldi nel Tfr è da sempre la cosa migliore. Anche per ottenere una previdenza integrativa. In primo luogo perché la crescita del trattamento di fine rapporto è garantita nel tempo e segue il taso di inflazione. In secondo luogo perché al momento della liquidazione si può optare per forme integrative della pensione, come si vuole.

Per legge, il Tfr in azienda si apprezza ogni anno del 1,5% fisso, più uno scarto del 75% dell’indice di inflazione Istat. A titolo di esempio, da inizio 2022 il Tfr si è rivalutato del 5,2% (mentre i fondi pensione hanno perso più del doppio). Percentuale al netto delle imposte che sono al 17%, contro il 20% dei fondi pensione.

Ma il vantaggio è anche l’azienda. Se il datore di lavoro ha a disposizione liquidità, può crescere, fare investimenti o affrontare crisi temporanee di mercato facendo affidamento su un cuscinetto garantito dai lavoratori. Soldi che potrebbero evitare anche licenziamenti o riduzione dell’orario di lavoro in tempi di vacche magre.

La pensione integrativa col Tfr

Ma come ottenere una pensione integrativa se non si aderisce ai fondi pensione? Semplice, al momento della liquidazione basta investire il capitale accumulato e rivalutato del Tfr in titoli di Stato. La soluzione migliore è quella del Btp Italia che garantisce un rendimento minimo garantito e interessi indicizzati all’inflazione. Oltre a un premio fedeltà a scadenza.

In alternativa, si può impiegare in tutto o in parte il ricavato del Tfr in Titoli di Stato indicizzati all’inflazione, i così detti CCT che seguono l’andamento dell’inflazione. I fondi pensione monetari, del resto, fanno più o meno la stessa cosa con la differenza che i gestori e gli amministratori ci rosicchiano parte dei guadagni.

Anche la tassazione della rendita finanziaria dei Btp è più vantaggiosa: il 12,50% contro il 15% di quella offerta dai fondi pensione. Solo dopo 15 anni di versamenti quest’ultima scende dello 0,3% all’anno pareggiando i conti con i Btp solo dopo 24 anni di versamenti nei fondi.